Settimane di lavoro per inchiodare Basso e farlo collaborare
Vincendo anche le sue paure per la propria incolumità
Prima la stangata. Le unghie nella carne. L'evidenza della colpevolezza sbattuta sotto gli occhi. Come si fa con un nemico giurato, nei palazzi del Coni Basso è stato indagato, studiato, braccato e infine inchiodato, con ogni mezzo. Anche con un controllo antidoping a sorpresa, disposto quando il caso del suo sangue congelato nei frigoriferi di Fuentes era già tornato d'attualità, e serviva procacciarsene di fresco, da usare per un confronto definitivo.
Un lungo inseguimento alla preda concluso ieri davanti al procuratore Torri, quando il nemico, schiantato, è diventato qualcos'altro: un potente, inedito alleato, il più prezioso di tutti, il testimonial del futuro. Quello che non fu Marco Pantani.
Pantani. E' la sua vicenda, con quel carico terribile di dolore, ad aver mosso dietro le quinte le strategie del palazzo dello sport. Perché c'era questo tragico precedente che bruciava nella testa del presidente Petrucci e del segretario Pagnozzi, quando se lo trovarono davanti, nel pieno della bufera che lo avrebbe spazzato via e poi ucciso, e loro provarono a gettare un salvagente disperato: dì quello che sai, denuncia la schiavitù del doping, diventerai il paladino di un nuovo mondo possibile e salverai il tuo sport, come un eroe. Pantani rise loro in faccia, e sbatté la porta. Per sempre.
Basso no. Basso è diverso in tutto da Pantani. E certo anche il mondo è diverso da quello di Marco: meno feroce, più pronto ad accoglierlo, più comprensivo, ormai saturo di scandali e per questo meglio disposto ad aggrapparsi a una possibile svolta. Il Coni ha capito che con Ivan si poteva tentare un'operazione rivoluzionaria, cui ha lavorato per settimane: far diventare un corridore dopato, destinato a un ritiro inglorioso, la bandiera del rinnovamento, l'immagine della svolta e - ma questo è ancora un sogno - un esempio da seguire per altri corridori.
E' un lavoro duro, e non soltanto perché l'omertà è da sempre la religione del doping. Ma anche per le conseguenze che la rottura del codice del silenzio potrebbero avere per Basso: quelle sportive, certo, con la federazione mondiale di ciclismo stoltamente pronta a ribadire che nel suo ordinamento non sono previsti sconti di pena per i pentiti. Ma anche quelle umane, soprattutto quelle umane, in un mondo, quello del doping, popolato da trafficanti, mafiosi, ricattatori, un groviglio infernale di dipendenze che può far pensare, a chi ne è attore e vittima, di non poter sgarrare senza correre rischi, anche per la propria incolumità. Per questo Basso, comunque, potrebbe non dire tutto ciò che sa, e al Coni ne sono consapevoli: nomi ne usciranno pochi, forse nessuno. Ivan mette in gioco se stesso, ha parlato del meccanismo, nei dettagli, che spinge un corridori ad andare da un medico come Fuentes.
Ma lì, probabilmente, si fermerà. Basta e avanza, comunque, per voltare pagina. Per passare dall'altra parte, uscire dal groviglio. Il Coni non aspettava che questo per levare le unghie dalla carne: non serve più, ora comincia un'altra operazione. Dare forza, più forza possibile al nuovo testimonial, facendone un esempio mondiale. Un esempio da cui ripartire.