Nasce nel fiorentino figlio illegittimo di un ricco mercante. Avviato dal padre alla mercatura in Napoli, si diede alle lettere e frequentò la corte di Roberto d’Angiò, la cui figlia naturale Maria d’Acquino, fu da lui amata e poeticamente ricordata con il nome di Fiammetta. Richiamato a Firenze per il dissesto economico del padre, ebbe incarichi diplomatici ad Avignone e a Roma. Conobbe il Petrarca e, influenzato da lui si diede con fervore agli studi umanistici.
Il suo capolavoro, che lo consacra creatore della prosa italiana è il Decamerone, raccolta di cento novelle che si immaginano raccontate in dieci giorni da un gruppo di gentiluomini e gentildonne, rifugiati in una villa presso Fiesole per sfuggire alla Peste che infuriò a Firenze nel 1348.
La rilettura attenta del Decamerone ci mostra la grande sintonia del poeta con la tavola. Da una novella all’altra, sembra proprio di vederlo in cucina a preparar pietanze. Dalle ricette e dai racconti è possibile capire quali piatti presumibilmente preferisse. Conoscete la celebre novella terza dell’ottava giornata? Eccovene un passo.
“…una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce… ed ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciola d’acqua".