Studenti e minoranze - Il fronte interno che sfida Ahmadinejad

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vanni-merlin
00giovedì 25 maggio 2006 23:33
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Studenti e minoranze
Il fronte interno che sfida Ahmadinejad


Chiuso un giornale dopo una serie di vignette sugli azeri (come Khamenei)

25/5/2006
Farian Sabahi



TEHERAN. «Cosa possiamo fare per evitare che gli scarafaggi ci facciamo diventare come loro?», è il titolo del supplemento per l'infanzia dell'edizione festiva del quotidiano «Iran» di venerdì scorso. Lo scarafaggio, nella vignetta disegnata dal trentatreenne Mana Neyestani, rappresenta la minoranza azera: un quarto della popolazione del Paese tra cui lo stesso leader supremo Ali Khamenei. Il presidente Ahmadinejad, pur non essendo azero, conosce perfettamente il dialetto turco parlato nella regione, dove ha servito come governatore dal 1993 al 1997.

Le minoranze iraniane sono però in subbuglio dal giugno scorso e le autorità fanno molta attenzione a non provocarne le ire. Per questo motivo, il quotidiano «Iran» è stato chiuso, il vignettista e il direttore dell'inserto Mehrdad Qasemfar sono stati licenziati e arrestati. Il quotidiano di estrema destra «Kayhan» ha ancora una volta biasimato agenti stranieri, e in particolare i britannici, per aver fomentato il separatismo in Azerbaigian e in Khuzestan, la regione situata al confine meridionale, vicino all'Iraq, abitato soprattutto da iraniani di etnia araba. Un tempo conosciuto per una maggiore tolleranza nei confronti delle minoranze, rispetto alla Turchia verso i curdi e rispetto all'Iraq di Saddam, oggi Teheran teme i moti indipendentisti.

E si rende conto che gli ideali rivoluzionari non sono sufficienti a tenere unita la popolazione. A creare scompiglio è, tra gli altri fattori, la distribuzione della ricchezza petrolifera: appartiene in gran parte al Khuzestan ma gli ayatollah della capitale se ne appropriano, senza ripagare gli abitanti della regione con investimenti adeguati. «La parola scritta è lo strumento più potente che possediamo per proteggerci, sia dai tiranni sia dalle nostre tradizioni», ha scritto l'avvocatessa iraniana Shirin Ebadi nella sua autobiografia intitolata «Il mio Iran».

E infatti gli iraniani hanno sempre pubblicato numerosi giornali, senza esitare a prendere di mira gli uomini al potere. Qualche anno fa, per esempio, una vignetta satirica mostrava un funzionario statale che a causa del basso stipendio utilizzava l'auto di servizio come taxi. Un giorno, anziché dirgli la destinazione, un cliente gli porge dei documenti da firmare, lamentandosi che in ufficio non c'è mai. Fino all'estate scorsa i vignettisti potevano permettersi di fare satira perché la magistratura, da sempre dominata dai falchi, doveva fare i conti con il ministero alla Cultura capeggiato da Ataollah Mohajerani, un uomo aperto, legato al presidente riformatore Khatami. Con Ahmadinejad tutto è cambiato: a marzo la magistratura ha chiuso un giornale della minoranza azera, accusato di operare contro la sicurezza nazionale.

E, ad aprile, è toccato a un settimanale dell'Iran meridionale, perché «insultava la leadership della repubblica». Il giro di vite è motivato dall'esasperazione degli iraniani sul fronte interno: la popolazione sembra essersi abituata alle minacce statunitensi sul nucleare e sta riprendendo la disperata ricerca del benessere. Ma la disoccupazione e l'inflazione a due cifre rendono difficile tirare avanti e ogni anno 200 mila giovani laureati emigrano in cerca di fortuna. La frustrazione dei giovani sotto i trent'anni è la causa degli scontri di martedì sera tra gli studenti e la polizia di fronte al dormitorio dell'università di Teheran, già teatro di violenze contro il regime nel 1999 e nel 2003. Questa volta la protesta, cui hanno partecipato duemila giovani, si è accesa con «l'espulsione di alcuni universitari, le limitazioni imposte negli atenei e agli attivisti del movimento studentesco» e il prepensionamento di alcuni professori, informati con una semplice e-mail.

I vertici della Repubblica islamica si rendono conto dell'insoddisfazione popolare e cercano, per una volta, di fare fronte comune. Per questo motivo, ieri il potente Rafsanjani ha dichiarato che l'Islam è «il comune denominatore della società iraniana, insieme all'amore per la patria, per la lingua persiana e per la rivoluzione islamica, nonostante l'esistenza di lingue e dialetti diversi». Cercando di tenere a bada la popolazione, i leader iraniani sono consapevoli di un vecchio proverbio in dialetto azero: «Se un albero non è mangiato dagli insetti che stanno al suo interno, può vivere mille anni». Sono le lotte interne, non le minacce esterne, a distruggere una nazione.



da: www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200605articoli/5692gi...

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