Il Gesù dei Vangeli è comunque molto diverso dal "Gesù della Chiesa", per vari motivi. Anzitutto, il canone dei quattro Vangeli stabilito nel Concilio di Roma del 328 esclude tutti gli apocrifi (una parola che, fra l'altro, in origine significava "segreto'' o "occulto'', e soltanto in seguito acquistò il significato apocrifo di "falso'', secondo il motto di Origene: "Ecclesia quattuor habet evangelia, haeresis plurima", "La Chiesa di Vangeli ne ha quattro, di eresie molte''). In realtà, i Vangeli in origine erano tanti perchè ogni comunità cristiana aveva il suo: soltanto con l'instaurarsi dell'ortodossia si rese necessario stabilire una versione "ufficiale'', e si scartarono i testi che non si confacevano al progetto.
Inoltre, il Gesù della Chiesa si basa su una serie di integrazioni ai Vangeli: dai testi supplementari delle "Lettere" di Paolo (50--60 d.C.) e degli "Atti degli Apostoli" di Luca (85--90 d.C.), ai pronunciamenti dottrinali dei Concili codificati in una serie di dogmi. Le novità sostanziali introdotte da Paolo furono anzitutto la divinità di Gesù, e poi l'apertura del cristianesimo ai gentili: la prima Gesù non l'aveva mai rivendicata, e la seconda l'aveva invece sempre esclusa (d'altronde, il Messia era per tradizione un "uomo" destinato a regnare "terrenamente" su Israele). Ma furono ovviamente queste due innovazioni, in parte recepite dai Vangeli canonici, soprattutto nel racconto della resurrezione e delle sue conseguenze, a permettere al cristianesimo di diventare una religione potenzialmente universale.
Infine, l'esistenza stessa della Chiesa si basa su un radicale stravolgimento dell'insegnamento del Gesù dei Vangeli, che aveva sempre annunciato l'imminenza dell'avvento del Regno dei Cieli. I primi cristiani ci credettero, e vissero alla giornata nell'attesa della "parousia", la sua seconda venuta. Ma col passare del tempo, quando videro che la supposta fine non arrivava in senso reale, si organizzarono e la interpretarono in senso metaforico come la venuta della Chiesa.
L'ultima e più irreale incarnazione del mito è il "Gesù dei fedeli", che se lo immaginano come meglio credono, improvvisando liberamente sui temi proposti dalle fantasiose rappresentazioni artistiche e letterarie (spesso ispirate agli apocrifi, quando non semplicemente inventate) e abbellendoli con tutto ciò che fa loro comodo: perchè, come si sa, la fede è cieca e non si cura di sottigliezze quali la verità storica, la verosimiglianza logica e la l'ortodossia teologica. Per il credente, direbbe Feyerabend, "everything goes", "tutto fa brodo''.
E per la Chiesa anche, soprattutto quando serve a catturare gli allocchi. Come infatti confessò candidamente papa Leone X al cardinal Bembo: "
Historia docuit quantum nos iuvasse illa de Christo fabula", "
La storia ci insegna quanto ci abbia fruttato quella favola di Cristo".
(P. Odifreddi)
[Modificato da (Upuaut) 09/03/2006 18.51]