Da "Nota a Cass. sez. I civ. 6 maggio 1999, n. 4529. Assegnazione della casa coniugale in sede di separazione o di divorzio: limiti di opponibilità", di Giacomo Gelmi e Alessandro Petrina (Riv. Notariato, 2000, Fasc. 01, Pag. 0032-0040):
Di interesse ai è il problema della qualificazione giuridica del diritto sulla casa familiare attribuito al coniuge assegnatario quando la proprietà od altro diritto reale di godimento spetti all'altro coniuge.
Un'opinione più risalente ha riconosciuto natura reale a tale diritto, basandosi in parte sull'argomento letterale ricavabile dal termine "abitazione" utilizzato sia dall'art. 155 c.c. che dall'art. 6 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, in parte sul parallelismo con il diritto di abitazione previsto in materia successoria a favore del coniuge superstite (art. 540 c.c.) ed ancora sulla maggiore tutela che la natura reale del diritto sulla casa garantirebbe al coniuge assegnatario [12].
Tuttavia l'opposto orientamento deve ritenersi ormai consolidato sia in dottrina che in giurisprudenza [13].
La tesi negatrice della natura reale del diritto in esame, si fonda sui seguenti argomenti.
Anzitutto si osserva che l'assegnazione della casa non comprende solo il diritto di godimento delle mura domestiche, ma anche dei mobili che la arredano, nonché la successione in tutti i contratti di fornitura delle varie utenze.
In secondo luogo contrasta con l'asserita natura reale la precarietà dell'assegnazione della casa, sempre suscettibile, quale disposizione relativa al mantenimento del coniuge o dei figli, di successive e continue modificazioni da parte del giudice.
In terzo luogo si argomenta dal combinato disposto degli articoli 1026 e 978 c.c., che non prevede tra i titoli costitutivi del diritto di abitazione il provvedimento del giudice.
Infine si contesta il presunto parallelismo con il diritto di abitazione di cui all'art. 540 c.c., per la diversità di fondamento dei due istituti. La norma successoria tende ad assicurare al coniuge superstite, indipendentemente dalle sue effettive esigenze abitative, la permanenza nell'abitazione in cui ha vissuto con il coniuge scomparso. Il fondamento dell'istituto dell'assegnazione della "casa familiare" al coniuge separando o divorziando è, invece, da rinvenirsi nell'adempimento degli obblighi di mantenimento scaturenti dalla separazione o dal divorzio di cui l'assegnazione della casa familiare costituisce una delle modalità. In tale ultimo caso, pertanto, l'assegnazione dovrà tener conto delle effettive esigenze abitative del coniuge (o dell'ex coniuge) assegnatario e dell'eventuale prole a lui affidata.
Superata l'opinione che configura il diritto in esame come diritto reale, va precisato che lo stesso non è sicuramente inquadrabile tra i diritti di credito tout court . Infatti, se deve ritenersi che il godimento della casa familiare da parte del coniuge assegnatario non possa avvenire senza la cooperazione del coniuge obbligato e che di conseguenza il primo sia titolare di un diritto di credito nei confronti del secondo, tuttavia si deve parimenti affermare che, da parte dei terzi estranei al rapporto di debito-credito, sussiste un dovere generale di astensione nei confronti del coniuge assegnatario del bene. Tale dovere di astensione è equiparabile nella sostanza a quello esistente nei confronti del titolare di un diritto assoluto. E ciò anche se tale dovere di astensione incontra i limiti dettati dalla disciplina della pubblicità, come si vedrà meglio più avanti. Di conseguenza sembra che il diritto in esame possa farsi rientrare nello schema dei diritti personali di godimento.
Come si è detto, comunque, il diritto in esame si realizza non solo attraverso la semplice astensione dei terzi, bensì a mezzo dell'adempimento del debitore e più precisamente a mezzo dell'adempimento da parte del coniuge non assegnatario [14]. Questi, infatti, risulta obbligato a garantire al coniuge assegnatario l'effettivo godimento dell'immobile assegnato quale abitazione.
Tra gli assertori della natura obbligatoria taluno ha sostenuto che il coniuge assegnatario sarebbe titolare di un diritto di comodato a tempo determinato [15].
In contrario si è rilevata l'assenza del necessario requisito della gratuità nell'istituto in esame, poiché con esso si attua, a favore del coniuge non assegnatario, almeno in linea di massima, una diminuzione dell'entità dell'assegno di mantenimento da corrispondere all'altro coniuge.
Alla suddetta qualificazione osta, inoltre, l'indeterminatezza della sua durata, in quanto il riferimento al mutamento delle condizioni che hanno determinato l'attribuzione del diritto sulla casa, si presenta estremamente incerto rendendo di fatto indeterminabile la durata del rapporto.
Ed ancora è di ostacolo la mancanza della traditio rei quale elemento di perfezionamento dell'assegnazione della casa familiare [16].
Da ultimo, la asserita natura di comodato non si armonizza con la possibilità di opporre ai terzi il provvedimento giudiziale e con l'esplicito richiamo normativo alla disciplina dettata dall'art. 1599 c.c. in tema di locazione.
Riconosciuta quindi la causa onerosa del diritto di [32703mabitazione sulla casa familiare, resta da chiarire se tale diritto sia riconducibile allo schema della locazione o piuttosto abbia natura di diritto personale " sui generis ".
Parte della dottrina sostiene che l'assegnazione abbia natura di locazione costituita per effetto del provvedimento giudiziale [17], rilevando che nell'istituto in esame ricorrono tutti gli elementi che caratterizzano un contratto di locazione ed in particolare la determinazione sia del canone che della durata. Solo in apparenza mancherebbe il corrispettivo che caratterizza la locazione, perchè effettivamente esso è presente ed è rappresentato dalla diminuzione che, a seguito dell'assegnazione, subisce l'importo dell'assegno di mantenimento che il coniuge non assegnatario deve corrispondere all'altro coniuge.
Per quanto attiene la durata, la suddetta dottrina ha ritenuto che essa sia determinabile con riferimento al provvedimento giudiziale che ha accertato le condizioni del mantenimento o le accerterà successivamente a seguito della richiesta di revisione degli obblighi e delle modalità di mantenimento.
Né è ritenuta di ostacolo alla configurazione in termini di locazione la circostanza che il contratto di locazione si perfezionerebbe per effetto di un provvedimento giudiziale a prescindere dal consenso intervenuto tra le parti.
In contrario può osservarsi che, mentre nel contratto di locazione il pagamento di un canone, che rappresenta il corrispettivo per il godimento dell'immobile concesso al conduttore, è elemento essenziale del contratto e giustifica la cedibilità ex lege del contratto medesimo a terzi, così non avviene nel rapporto che si instaura tra i coniugi a seguito dell'assegnazione, ove materialmente manca la corresponsione di un canone. Del resto non ci si può dimenticare che l'art. 1406 c.c. richiede, quale presupposto necessario per la cedibilità dei contratti, la sussistenza del sinallagma [18] e che ben difficilmente può assimilarsi alla prestazione corrispettiva rappresentata dal versamento del canone, la diminuzione dell'importo dell'assegno di mantenimento. Ed infatti, mentre nel caso di cessione del contratto di locazione il terzo acquirente riceverà dal conduttore "ceduto" un canone di locazione che rappresenta il corrispettivo del mancato godimento dell'immobile da lui acquistato, ciò è difficilmente ipotizzabile nel caso di assegnazione della casa familiare, in quanto appare artificioso ritenere che il coniuge assegnatario debba corrispondere al terzo acquirente un canone per il godimento dell'immobile. Per superare questa obiezione, i sostenitori della assimilazione alla locazione del diritto vantato dal coniuge assegnatario [19], sono costretti a prefigurare a carico del coniuge assegnante l'obbligo di integrare l'assegno di mantenimento fino alla concorrenza dell'importo del canone che il coniuge assegnatario dell'abitazione sarebbe tenuto a corrispondere al terzo acquirente. Né va taciuto che la suddetta dottrina, per la determinazione dell'importo del canone che il terzo acquirente dovrebbe ricevere per il mancato godimento dell'immobile acquistato, ricorre ad artificiose integrazioni contrattuali basate sugli articoli 12 e ss. della legge 392/1978 o su parametri commisurati all'importo dell'assegno di mantenimento. La medesima dottrina, per superare le evidenti incertezze che un tale sistema di calcolo del canone comporterebbe, conclude auspicando che sia il giudice nel provvedimento di assegnazione della casa familiare a determinare ab origine il controvalore economico attribuito al godimento della casa.
La tesi del diritto personale di godimento sui generis appare quindi quella che meglio tiene conto del fatto che l'assegnazione della casa familiare si inserisce in un particolare assetto di interessi fra i coniugi e dei coniugi nei confronti dei figli, conseguente alla separazione od al divorzio non assimilabile, se non per la natura di diritto personale di godimento, a quello che intercorre fra locatore e conduttore.
(12) A favore della natura reale del diritto di abitazione si vedano citati in nota in Frallicciardi, Assegnazione della casa familiare nella separazione personale dei coniugi e nel divorzio: quale diritto per l'assegnatario, in Scritti in onore di Guido Capozzi, Milano 1992614: Tamburrino, Lineamenti del nuovo diritto di famiglia italiano, Torino 1979, 249; Bianca, Diritto civile, vol. II, La famiglia e le successioni, Milano 1981; Cantelmo, La situazione del coniuge superstite, in Rass. Dir. Civ. 1980, Parte I, 54; Amagliani, Separazione dei coniugi e assegnazione della casa familiare, in Rass. dir. civ. 1982, Parte I, 17; Grassi, La separazione personale dei coniugi nel nuovo diritto di famiglia, Napoli, 1976, 167. In tal senso anche Appello Firenze 12 marzo 1985 e Tribunale Catania 11 luglio 1985 entrambe in Nuova Giur. Civ. Comm. 1986, 338-339.
(13) Si vedano per tutte Cass. 16 ottobre 1985 n. 5082, in Giur. Comm. 1986, Parte I, 353 e Cass. 5 luglio 1988 n. 4420, in Nuova Giur. Civ. Comm. 1989, 160. Per l'esposizione delle motivazioni della tesi che nega natura reale al diritto in esame si vedano Frallicciardi, op. cit., 614 e ss. e Andreola, in Riv. Dir. Civ. 1994, Parte II, 341 e ss..
(14) Così Andreola, op. cit., 350 secondo la quale "... La difficoltà di classificare il diritto de quo come diritto reale nasce anche dalla considerazione della struttura del potere del suo titolare: il coniuge non ha un potere immediato sull'immobile, in quanto il godimento di esso non è garantito mediante una potestà sul bene medesimo, ma solo tramite la collaborazione del debitore."
(15) Così testualmente Finocchiaro, Assegnazione della casa familiare nella nuova disciplina del divorzio, in Vita Not. 1988, Parte 4, XCVIII secondo cui "Se la casa è di proprietà del coniuge diverso da quello al quale l'abitazione viene concessa, il coniuge affidatario acquista un diritto di godimento di natura personale assimilabile a quella del comodatario a tempo determinato (art. 1803 c.c.), la durata del rapporto essendo determinabile per relationem e cioè finchè non mutano le condizioni che hanno determinato l'attribuzione del diritto di godimento."
(16) In questo senso Frallicciardi, op. cit., 619, secondo il quale "... la natura reale del contratto di comodato, che per la sua perfezione esige la "traditio rei", mal si concilia con una costituzione a mezzo di provvedimento giudiziario.".
(17) Frallicciardi, op. cit., 620.
(18) Secondo l'opinione tradizionale la cessione del contratto sarebbe amissibile solo in presenza dei presupposti richiesti dall'art. 1406 c.c.: per tutti Carresi, La cessione del contratto, Milano 1950, 35, nota 47 e45 e ss..
19) Si veda in particolare Frallicciardi, op. cit. 622.
[Modificato da Commissario Maigret 06/10/2003 11.58]