diritto di abitazione

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Giuseppe Debenedetto
00lunedì 6 ottobre 2003 10:43
Il diritto di abitazione, previsto dall'art. 540 c.c. per il coniuge superstite, può essere assimilato al diritto che spetta al coniuge separato o divorziato sulla ex casa coniugale assegnata con provvedimento del Tribunale ?
cicolex
00lunedì 6 ottobre 2003 11:42
Caro Giuseppe la domanda è un pò generica.....provo comunque a rispondere.

La riserva di cui all'art. 540 è inquadrabile nel cd "Legato ex lege". In dottrina è controversa la natura reale o personale del diritto di cui trattasi. In giurisprudenza invece è stato precisato che trattasi di diritto reale:

Ai diritti reali di abitazione della casa adibita a residenza
familiare e di uso dei mobili che l'arredano, attribuiti al coniuge
superstite dall'art. 540, comma 2 c.c. non si applicano gli art. 1021
e 1022 c.c. nella parte in cui limitano il diritto in relazione al
fabbisogno del titolare.

Cassazione civile sez. II, 13 marzo 1999, n. 2263

Per quanto concerne l'assegnazione della casa familare in ambito art. 155 CC la Cassazione ha stabilito che trattasi di diritto personale atipico di godimento e non di diritto reale di abitazione (88/4420)
Ti segnalo inoltre cass 86/6570
In sede di separazione personale dei coniugi, nell'esercizio dei
suoi poteri discrezionali, il giudice puo' non effettuare
l'assegnazione della casa familiare, ove non necessaria o comunque
non opportuna, ovvero puo' limitarla alla parte occorrente ai
bisogni delle persone conviventi della famiglia, in analogia alla
definizione del diritto di abitazione di cui all'art. 1022 c.c., pur
se di diversa natura (reale e non personale) e origine (negoziale e
non giudiziale).

L'art. 155 c.c. - secondo le modifiche apportate dall'art. 36 della
l. 19 maggio 1975 n. 151 - ha accentuato e accresciuto i poteri
discrezionali del giudice della separazione e, nel regolare con
disposizione innovativa l'assegnazione della casa familiare "di
preferenza" al coniuge cui sono affidati i figli, ha posto non una
regola assoluta e inderogabile, ma una norma direttiva, rimettendone
al giudice stesso l'applicazione discrezionale. Ne consegue che il
giudice, non solo ha il potere di non effettuare quell'assegnazione,
ove non necessaria o, comunque, non opportuna, ma anche quello di
limitarla alla parte occorrente ai bisogni delle persone conviventi
della famiglia, in analogia alla definizione del diritto di
abitazione di cui all'art. 1022 c.c., ancorche' di diversa natura
(reale) e origine (negoziale) tenendo conto anche delle necessita'
di vita dell'altro coniuge in relazione alle possibilita' di
godimento separato ed autonomo dell'immobile.

Cassazione civile, sez. I, 11 novembre 1986 n. 6570


Commissario Maigret
00lunedì 6 ottobre 2003 11:56
Da "Nota a Cass. sez. I civ. 6 maggio 1999, n. 4529. Assegnazione della casa coniugale in sede di separazione o di divorzio: limiti di opponibilità", di Giacomo Gelmi e Alessandro Petrina (Riv. Notariato, 2000, Fasc. 01, Pag. 0032-0040):

Di interesse ai è il problema della qualificazione giuridica del diritto sulla casa familiare attribuito al coniuge assegnatario quando la proprietà od altro diritto reale di godimento spetti all'altro coniuge.
Un'opinione più risalente ha riconosciuto natura reale a tale diritto, basandosi in parte sull'argomento letterale ricavabile dal termine "abitazione" utilizzato sia dall'art. 155 c.c. che dall'art. 6 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, in parte sul parallelismo con il diritto di abitazione previsto in materia successoria a favore del coniuge superstite (art. 540 c.c.) ed ancora sulla maggiore tutela che la natura reale del diritto sulla casa garantirebbe al coniuge assegnatario [12].
Tuttavia l'opposto orientamento deve ritenersi ormai consolidato sia in dottrina che in giurisprudenza [13].
La tesi negatrice della natura reale del diritto in esame, si fonda sui seguenti argomenti.

Anzitutto si osserva che l'assegnazione della casa non comprende solo il diritto di godimento delle mura domestiche, ma anche dei mobili che la arredano, nonché la successione in tutti i contratti di fornitura delle varie utenze.
In secondo luogo contrasta con l'asserita natura reale la precarietà dell'assegnazione della casa, sempre suscettibile, quale disposizione relativa al mantenimento del coniuge o dei figli, di successive e continue modificazioni da parte del giudice.
In terzo luogo si argomenta dal combinato disposto degli articoli 1026 e 978 c.c., che non prevede tra i titoli costitutivi del diritto di abitazione il provvedimento del giudice.
Infine si contesta il presunto parallelismo con il diritto di abitazione di cui all'art. 540 c.c., per la diversità di fondamento dei due istituti. La norma successoria tende ad assicurare al coniuge superstite, indipendentemente dalle sue effettive esigenze abitative, la permanenza nell'abitazione in cui ha vissuto con il coniuge scomparso. Il fondamento dell'istituto dell'assegnazione della "casa familiare" al coniuge separando o divorziando è, invece, da rinvenirsi nell'adempimento degli obblighi di mantenimento scaturenti dalla separazione o dal divorzio di cui l'assegnazione della casa familiare costituisce una delle modalità. In tale ultimo caso, pertanto, l'assegnazione dovrà tener conto delle effettive esigenze abitative del coniuge (o dell'ex coniuge) assegnatario e dell'eventuale prole a lui affidata.
Superata l'opinione che configura il diritto in esame come diritto reale, va precisato che lo stesso non è sicuramente inquadrabile tra i diritti di credito tout court . Infatti, se deve ritenersi che il godimento della casa familiare da parte del coniuge assegnatario non possa avvenire senza la cooperazione del coniuge obbligato e che di conseguenza il primo sia titolare di un diritto di credito nei confronti del secondo, tuttavia si deve parimenti affermare che, da parte dei terzi estranei al rapporto di debito-credito, sussiste un dovere generale di astensione nei confronti del coniuge assegnatario del bene. Tale dovere di astensione è equiparabile nella sostanza a quello esistente nei confronti del titolare di un diritto assoluto. E ciò anche se tale dovere di astensione incontra i limiti dettati dalla disciplina della pubblicità, come si vedrà meglio più avanti. Di conseguenza sembra che il diritto in esame possa farsi rientrare nello schema dei diritti personali di godimento.

Come si è detto, comunque, il diritto in esame si realizza non solo attraverso la semplice astensione dei terzi, bensì a mezzo dell'adempimento del debitore e più precisamente a mezzo dell'adempimento da parte del coniuge non assegnatario [14]. Questi, infatti, risulta obbligato a garantire al coniuge assegnatario l'effettivo godimento dell'immobile assegnato quale abitazione.
Tra gli assertori della natura obbligatoria taluno ha sostenuto che il coniuge assegnatario sarebbe titolare di un diritto di comodato a tempo determinato [15].
In contrario si è rilevata l'assenza del necessario requisito della gratuità nell'istituto in esame, poiché con esso si attua, a favore del coniuge non assegnatario, almeno in linea di massima, una diminuzione dell'entità dell'assegno di mantenimento da corrispondere all'altro coniuge.
Alla suddetta qualificazione osta, inoltre, l'indeterminatezza della sua durata, in quanto il riferimento al mutamento delle condizioni che hanno determinato l'attribuzione del diritto sulla casa, si presenta estremamente incerto rendendo di fatto indeterminabile la durata del rapporto.
Ed ancora è di ostacolo la mancanza della traditio rei quale elemento di perfezionamento dell'assegnazione della casa familiare [16].

Da ultimo, la asserita natura di comodato non si armonizza con la possibilità di opporre ai terzi il provvedimento giudiziale e con l'esplicito richiamo normativo alla disciplina dettata dall'art. 1599 c.c. in tema di locazione.
Riconosciuta quindi la causa onerosa del diritto di abitazione sulla casa familiare, resta da chiarire se tale diritto sia riconducibile allo schema della locazione o piuttosto abbia natura di diritto personale " sui generis ".
Parte della dottrina sostiene che l'assegnazione abbia natura di locazione costituita per effetto del provvedimento giudiziale [17], rilevando che nell'istituto in esame ricorrono tutti gli elementi che caratterizzano un contratto di locazione ed in particolare la determinazione sia del canone che della durata. Solo in apparenza mancherebbe il corrispettivo che caratterizza la locazione, perchè effettivamente esso è presente ed è rappresentato dalla diminuzione che, a seguito dell'assegnazione, subisce l'importo dell'assegno di mantenimento che il coniuge non assegnatario deve corrispondere all'altro coniuge.
Per quanto attiene la durata, la suddetta dottrina ha ritenuto che essa sia determinabile con riferimento al provvedimento giudiziale che ha accertato le condizioni del mantenimento o le accerterà successivamente a seguito della richiesta di revisione degli obblighi e delle modalità di mantenimento.
Né è ritenuta di ostacolo alla configurazione in termini di locazione la circostanza che il contratto di locazione si perfezionerebbe per effetto di un provvedimento giudiziale a prescindere dal consenso intervenuto tra le parti.
In contrario può osservarsi che, mentre nel contratto di locazione il pagamento di un canone, che rappresenta il corrispettivo per il godimento dell'immobile concesso al conduttore, è elemento essenziale del contratto e giustifica la cedibilità ex lege del contratto medesimo a terzi, così non avviene nel rapporto che si instaura tra i coniugi a seguito dell'assegnazione, ove materialmente manca la corresponsione di un canone. Del resto non ci si può dimenticare che l'art. 1406 c.c. richiede, quale presupposto necessario per la cedibilità dei contratti, la sussistenza del sinallagma [18] e che ben difficilmente può assimilarsi alla prestazione corrispettiva rappresentata dal versamento del canone, la diminuzione dell'importo dell'assegno di mantenimento. Ed infatti, mentre nel caso di cessione del contratto di locazione il terzo acquirente riceverà dal conduttore "ceduto" un canone di locazione che rappresenta il corrispettivo del mancato godimento dell'immobile da lui acquistato, ciò è difficilmente ipotizzabile nel caso di assegnazione della casa familiare, in quanto appare artificioso ritenere che il coniuge assegnatario debba corrispondere al terzo acquirente un canone per il godimento dell'immobile. Per superare questa obiezione, i sostenitori della assimilazione alla locazione del diritto vantato dal coniuge assegnatario [19], sono costretti a prefigurare a carico del coniuge assegnante l'obbligo di integrare l'assegno di mantenimento fino alla concorrenza dell'importo del canone che il coniuge assegnatario dell'abitazione sarebbe tenuto a corrispondere al terzo acquirente. Né va taciuto che la suddetta dottrina, per la determinazione dell'importo del canone che il terzo acquirente dovrebbe ricevere per il mancato godimento dell'immobile acquistato, ricorre ad artificiose integrazioni contrattuali basate sugli articoli 12 e ss. della legge 392/1978 o su parametri commisurati all'importo dell'assegno di mantenimento. La medesima dottrina, per superare le evidenti incertezze che un tale sistema di calcolo del canone comporterebbe, conclude auspicando che sia il giudice nel provvedimento di assegnazione della casa familiare a determinare ab origine il controvalore economico attribuito al godimento della casa.

La tesi del diritto personale di godimento sui generis appare quindi quella che meglio tiene conto del fatto che l'assegnazione della casa familiare si inserisce in un particolare assetto di interessi fra i coniugi e dei coniugi nei confronti dei figli, conseguente alla separazione od al divorzio non assimilabile, se non per la natura di diritto personale di godimento, a quello che intercorre fra locatore e conduttore.



(12) A favore della natura reale del diritto di abitazione si vedano citati in nota in Frallicciardi, Assegnazione della casa familiare nella separazione personale dei coniugi e nel divorzio: quale diritto per l'assegnatario, in Scritti in onore di Guido Capozzi, Milano 1992614: Tamburrino, Lineamenti del nuovo diritto di famiglia italiano, Torino 1979, 249; Bianca, Diritto civile, vol. II, La famiglia e le successioni, Milano 1981; Cantelmo, La situazione del coniuge superstite, in Rass. Dir. Civ. 1980, Parte I, 54; Amagliani, Separazione dei coniugi e assegnazione della casa familiare, in Rass. dir. civ. 1982, Parte I, 17; Grassi, La separazione personale dei coniugi nel nuovo diritto di famiglia, Napoli, 1976, 167. In tal senso anche Appello Firenze 12 marzo 1985 e Tribunale Catania 11 luglio 1985 entrambe in Nuova Giur. Civ. Comm. 1986, 338-339.
(13) Si vedano per tutte Cass. 16 ottobre 1985 n. 5082, in Giur. Comm. 1986, Parte I, 353 e Cass. 5 luglio 1988 n. 4420, in Nuova Giur. Civ. Comm. 1989, 160. Per l'esposizione delle motivazioni della tesi che nega natura reale al diritto in esame si vedano Frallicciardi, op. cit., 614 e ss. e Andreola, in Riv. Dir. Civ. 1994, Parte II, 341 e ss..
(14) Così Andreola, op. cit., 350 secondo la quale "... La difficoltà di classificare il diritto de quo come diritto reale nasce anche dalla considerazione della struttura del potere del suo titolare: il coniuge non ha un potere immediato sull'immobile, in quanto il godimento di esso non è garantito mediante una potestà sul bene medesimo, ma solo tramite la collaborazione del debitore."
(15) Così testualmente Finocchiaro, Assegnazione della casa familiare nella nuova disciplina del divorzio, in Vita Not. 1988, Parte 4, XCVIII secondo cui "Se la casa è di proprietà del coniuge diverso da quello al quale l'abitazione viene concessa, il coniuge affidatario acquista un diritto di godimento di natura personale assimilabile a quella del comodatario a tempo determinato (art. 1803 c.c.), la durata del rapporto essendo determinabile per relationem e cioè finchè non mutano le condizioni che hanno determinato l'attribuzione del diritto di godimento."
(16) In questo senso Frallicciardi, op. cit., 619, secondo il quale "... la natura reale del contratto di comodato, che per la sua perfezione esige la "traditio rei", mal si concilia con una costituzione a mezzo di provvedimento giudiziario.".
(17) Frallicciardi, op. cit., 620.
(18) Secondo l'opinione tradizionale la cessione del contratto sarebbe amissibile solo in presenza dei presupposti richiesti dall'art. 1406 c.c.: per tutti Carresi, La cessione del contratto, Milano 1950, 35, nota 47 e45 e ss..
19) Si veda in particolare Frallicciardi, op. cit. 622.

[Modificato da Commissario Maigret 06/10/2003 11.58]

Giuseppe Debenedetto
00lunedì 6 ottobre 2003 12:18
Veramente sorprendente, ragazzi. Qui c'è quasi tutto lo scibile sul diritto di abitazione.
Giuseppe Debenedetto
00lunedì 6 ottobre 2003 12:30
Il Ministero delle finanze, con la circolare n. 118 del 7/6/2000 (istruzioni per il versamento dell'ICI), sostiene che il diritto di abitazione spettante al coniuge superstite ai sensi dell'art. 540 c.c. è assimilabile al diritto che spetta "al coniuge divorziato, separando o separato consensualmente o giudizialmente sulla casa ex residenza coniugale, assegnata con provvedimento del Tribunale".
Mi pare, alla luce di quanto hanno riportato cico e il Commissario, che l'orientamento ministeriale non può essere assolutamente condiviso.
D'altra parte, anche la giurisprudenza tributaria di merito è in linea con l'orientamento della Cassazione civile.
cicolex
00lunedì 6 ottobre 2003 14:34
Svelato il motivo della "genericità" della domanda: al fine di non causare un fuggi-fuggi generale dalla materia tributaria....[SM=g27827]

A parte le battute gradirei un approfondimento:
quali sarebbero le motivazioni (ammesso che ce ne siano.....) che hanno portato a sostenere l'assimilabilità dei due diritti?
Giuseppe Debenedetto
00lunedì 6 ottobre 2003 15:32
Ho virgolettato quanto sostenuto dal Ministero delle finanze in maniera del tutto apodittica, cioè senza alcuna motivazione.
cicolex
00lunedì 6 ottobre 2003 15:35
Lo sospettavo.
Concordo: "l'orientamento ministeriale non può essere assolutamente condiviso".
Giuseppe Debenedetto
00lunedì 6 ottobre 2003 15:42
La cosa grave è che il Ministero delle finanze ha sostenuto la propria tesi con una circolare che detta "istruzioni" sul versamento dell'Ici.
cicolex
00lunedì 6 ottobre 2003 15:50
Commissioni Tributarie
Commissione Tributaria Provinciale - Avellino
Sentenza n. 139 dell'8-7-2003
Sez. 5, Pres. e rel. Capone


ICI - Soggetti passivi - Separazione coniugale - Sentenza di separazione giudiziale - Coniuge assegnatario dell'abitazione coniugale - Tassabilità



In tema di ICI, qualora si verifichi la separazione tra coniugi occorre avere riguardo all'art. 218 del codice civile, il quale stabilisce che "Il coniuge che gode dei beni dell'altro coniuge è soggetto a tutte le obbligazioni dell'usufruttuario".
Ne consegue che in base al combinato disposto dell'art. 1008 del codice civile, che impone all'usufruttuario l'obbligo di pagare le imposte gravanti sull'immobile, e dell'art. 3 del D.Lgs. n. 504 del 1992, che include tra i soggetti passivi dell'ICI anche l'usufruttuario, il coniuge al quale è assegnata la casa coniugale con la sentenza che pronuncia la separazione giudiziale è tenuto al pagamento dell'ICI gravante sulla casa assegnata.



Motivi della decisione

(…)
Per quanto riguarda il merito va rilevato: in base all'art. 1 del D.Lgs. n. 504/1992, che ha istituito l'imposta comunale sugli immobili (ICI), presupposto dell'imposta è il possesso di fabbricati o di terreni. L'art. 1140 codice civile stabilisce che il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale. L'art. 3 del citato decreto legislativo stabilisce che soggetto passivo dell'imposta è il proprietario o il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sull'immobile. Pertanto sulla base di tali norme l'ICI è un'imposta di carattere reale, come affermato anche dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 333 del 5 ottobre 2001, e da essa, quindi, va escluso l'uso dell'immobile derivante da un diritto personale con effetti obbligatori.
Circa l'assoggettabilità o meno all'ICI del coniuge separato o divorziato assegnatario della casa familiare vi è stata fin dall'istituzione dell'imposta, e vi è ancora, notevole incertezza non solo da parte delle Commissioni Tributarie, ma anche da parte del Ministero delle Finanze, che solo con la circolare 118/E del 7 giugno 2000, con le istruzioni per la compilazione della dichiarazione ICI per l'anno 2000 e con il decreto 11 aprile 2001, assimilando il diritto spettante all'assegnatario della casa coniugale a quello che compete al coniuge superstite ai sensi dell'art. 540 codice civile, che è un diritto reale di godimento, ha stabilito l'obbligo dell'assegnatario a presentare la dichiarazione ICI e, quindi, a pagare la relativa imposta.
L'interpretazione data dal Ministero contrasta, però, con l'orientamento costante della Giurisprudenza (Cass. n. 624/1986; Cass. n. 4420/1988; Cass. n. 6348/1991; Cass. n. 4016/1992; Cass. n. 9157/1993; Cass. n. 7680/1997; Cass. n. 4529/1999) secondo cui il diritto ad abitare la casa coniugale riconosciuto ad uno dei coniugi in caso di separazione giudiziale o di divorzio è un diritto personale di godimento con effetti obbligatori, assimilabile al comodato, e non un diritto reale. La medesima Giurisprudenza ritiene inoltre che, essendo la proprietà privata riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina anche i modi di acquisto e di godimento, come sancito dal 2° comma dell'art. 42 della Costituzione, non può la sentenza che pronuncia la separazione o il divorzio modificare la sfera patrimoniale dei soggetti e quindi costituire un diritto reale di godimento.
Va, inoltre, aggiunto che la Consulta con la sentenza n. 454/1989 ha precisato che l'abitazione nella casa familiare non è identificata in una figura giuridica formale, ma nella concreta res facti che prescinde da qualsivoglia titolo giuridico sull'immobile ed il giudice nell'assegnare l'abitazione nella ex casa coniugale al genitore affidatario della prole non crea tanto un titolo di legittimazione ad abitare l'unità immobiliare per uno di essi, quanto conserva la destinazione dell'unità stessa con il suo arredo nella funzione di residenza.
Da ciò deriva che il coniuge assegnatario della ex casa coniugale, avendo un diritto personale, non dovrebbe essere obbligato al pagamento dell'ICI.
Ritiene questa Commissione, però che, pur essendo l'assegnazione della casa coniugale un atto di attribuzione di diritto personale, alla fattispecie va applicata la disposizione dell'art. 218 codice civile il quale stabilisce che il coniuge che gode dei beni dell'altro coniuge è soggetto a tutte le obbligazioni dell'usufruttuario. Tale norma, usando l'espressione gode ed equiparando l'obbligo di chi gode a quello dell'usufruttuario, comprende tutti quei casi in cui il godimento dei beni dell'altro coniuge non deriva da uno dei diritti reali sugli immobili, disciplinati separatamente da distinti articoli del codice civile, ma da altri titoli tra cui va certamente incluso anche quello derivante da una sentenza che ha assegnato in godimento (abitazione) la casa coniugale.
Pertanto in virtù del combinato disposto dell'art. 1008 codice civile, che impone all'usufruttuario l'obbligo di pagare le imposte gravanti sull'immobile, e dell'art. 3 del D.Lgs. n. 504/1992, che include tra i soggetti passivi dell'imposta in vece del proprietario anche l'usufruttuario, il coniuge assegnatario della casa coniugale a seguito di sentenza che pronuncia la separazione giudiziale dei coniugi è tenuto al pagamento dell'ICI gravante sulla casa assegnata.
Nel caso in esame l'obbligo spetta solo per l'abitazione particella 107 sub 12 Cat. A03 per un importo di Euro 572,56 da cui va detratta la somma di Euro 103,29 per l'abitazione principale, e quindi per un importo di Euro 469,27. Su tale somma sono dovuti i soli interessi di mora e non anche sanzioni considerato che non vi è stata certezza sull'obbligo della ricorrente a presentare la dichiarazione ICI ed a pagare la relativa imposta.
Non è dovuta dalla ricorrente alcuna imposta per il garage particella 706 Cat. C06, in quanto tale immobile non è stato oggetto di assegnazione.
Stante l'incertezza giurisprudenziale ed in virtù della reciproca soccombenza ricorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del giudizio.





P.Q.M.


La Commissione, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede:

in parziale accoglimento del ricorso dichiara dovuta da M. C. al comune di Avellino a titolo di ICI per l'anno 1998 la somma di Euro 469,27 al netto della detrazione per l'abitazione principale sul fabbricato sito in Avellino alla via (…) e riportato in catasto al foglio 38 numero 107/12, oltre agli interessi di mora a decorrere dalla scadenza delle rate di acconto e di saldo;

dichiara non dovuta da M. C. al Comune di Avellino l'imposta comunale sugli immobili sul vano sito al piano terra di via (…) e riportato in catasto al foglio 38 numero 706;

dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio.


lillo1
00mercoledì 9 gennaio 2008 11:16
quindi, se capisco bene, il diritto di abitazione del coniuge superstite sulla casa di residenza della famiglia è assolutamente assodato, ai sensi del 540 comma 2 cc., e non deve essere dichiarato perchè consegue automaticamente alla dichiarazione di successione del de cuius, abbinata all'effettiva residenza del coniuge superstite nella ex casa coniugale?
Perciò, nel dettaglio pratico: se muore un tizio, proprietario della casa ove abitava con la moglie, e la moglie eredita una quota e la figlia un'altra quota. La moglie continua ad abitare li, la figlia a è residente altrove. L'ici la paga al 100% la moglie.? Con aliquota e detrazione della prima casa?
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