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LA STAMPA
24 ottobre 2005
RIFORME GIUDIZIARIE
Imputati e vittime stesse garanzie
di Carlo Federico Grosso

Poco meno di un mese fa la Camera dei Deputati ha approvato un disegno di legge che impedisce ai pubblici ministeri e alle parti civili di presentare appello contro le sentenze di proscioglimento di primo grado. Il testo è stato ora trasmesso al Senato per la sua approvazione definitiva.

Le conseguenze pratiche della riforma sono eclatanti. In caso di condanna l'imputato potrà continuare ad appellare la sentenza, e in ipotesi di una ulteriore condanna davanti alla Corte di Appello proporre ricorso in Cassazione. In caso di proscioglimento, il pubblico ministero e la parte civile non potranno invece più proporre a loro volta appello allo scopo di ottenere una ulteriore valutazione di merito, ma potranno soltanto ricorrere in Cassazione per motivi di legittimità. Il diverso trattamento delle parti processuali appare evidente.

Grazie ad una disposizione transitoria la nuova disciplina dovrebbe essere d'altronde applicata anche nei confronti dei processi in via di svolgimento, con riferimento ai quali l'eventuale appello già presentato dal P.M. si trasformerebbe automaticamente in ricorso per Cassazione.

Questo esplicito riferimento ai processi in corso ha indotto qualcuno a denunciare l'ennesima configurazione di una legge ad personam. Si è infatti mormorato che il disegno di legge, predisposto nel 2004 dall'onorevole Pecorella, presidente della Commissione Giustizia della Camera oltre che, nel contempo, avvocato difensore del Primo Ministro, gioverebbe a qualche imputato particolarmente eccellente. E si è fatto addirittura nome e cognome di un processo e del relativo imputato assolto in primo grado.
Confesso che questi mormorii mi interessano relativamente, dato che la attuale maggioranza di governo ci ha ormai abituati alla prassi abnorme delle leggi c.d. «personali e concrete».

Mi interessa assai di più valutare la riforma nel suo impatto su di un processo penale che non è stato contemporaneamente cambiato in nessuna sua altra parte; una riforma che per questa ragione non si presenta pertanto come un tassello organico di un progetto complessivo e meditato.

La magistratura ha reagito duramente alla ventilata innovazione. Ha denunciato la discriminazione, inaccettabile, di due delle parti del processo (pubblico ministero e parti civili). Ha affermato che la cancellazione di ogni valutazione sul merito di una sentenza di proscioglimento, anche di quella più errata o aberrante, finirebbe per sovraccaricare il lavoro della Cassazione, e a spingerla a forzare i limiti della sua tradizionale funzione di giudice di legittimità. Ha criticato la irragionevolezza di un intervento di settore isolato da qualsiasi disegno di riordino complessivo del processo penale.

Quest'ultimo rilievo mi convince. Non ha senso toccare un tassello di un meccanismo delicato ed unitario quale è il processo penale, senza avere in mente un progetto complessivo di riforma. Esemplifico. Il problema cardine del processo penale è, oggi, la sua irragionevole durata. Ma il riordino dei meccanismi delle impugnazioni, con tutti i pericoli che esso comporta sul terreno della restrizione delle garanzie, può essere affrontato con una percezione adeguata del contrappunto vantaggi/costi nella misura in cui si valutino nel loro complesso tutti i possibili strumenti di accelerazione o semplificazione processuale.

Non credo invece che l'impatto sul lavoro della Cassazione possa preoccupare più di tanto. Nonostante si prefiguri un ampliamento dei motivi di ricorso, bene potrà la Cassazione sottoporre la sentenza di primo grado a quel vaglio rigoroso, circoscritto ai profili di legittimità, al quale vengono oggi sottoposte le sentenze di appello.
Più complesso è il profilo della ventilata discriminazione.
E' vero, con i nuovi meccanismi il P.M., a differenza dell'imputato, non potrà più appellare la sentenza di primo grado, e la parte civile non potrà più chiedere al P.M. di appellare, o appellare lei stessa sia pure ai soli effetti civili. Davvero, tuttavia, si tratta di discriminazione inaccettabile? Il presidente delle Camere Penali, ad esempio, ha parlato, con riferimento alla nuova legge, di scelta ineccepibile e sacrosanta, in linea con i principi del giusto processo e del rito accusatorio. Ed ha osservato che la disciplina vigente degli appelli e dei ricorsi penali conduce invece all'assurdo che l'imputato condannato per la prima volta in Corte di Appello non ha altro rimedio contro tale sua prima condanna se non il ricorso in cassazione.

Il problema esiste. Non sarei tuttavia, francamente, così drastico nel giudizio. Non credo, per un verso, che la semplificazione del sistema dell'appello e del ricorso in cassazione sia decisivo agli effetti della durata del processo; ben altri sono infatti gli strumenti attraverso i quali realizzare efficacemente l'obbiettivo della riduzione dei tempi processuali. Mi preoccupano, per altro verso, ragioni di giustizia. Vi sono sicuramente sentenze di primo grado errate o aberranti sia di condanna sia di assoluzione. Ma allora perché si dovrebbe consentire, come è sacrosanto, che l'imputato condannato da una di tali sentenze possa appellarla ed ottenere in questo modo una rivisitazione del merito del suo problema, mentre la vittima del reato, per cercare di rimediare all'eventuale errore processuale a suo danno, possa utilizzare il solo più circoscritto rimedio del ricorso in cassazione?

Agli imputati devono essere assicurate con rigore, sempre, tutte le garanzie previste dallo stato di diritto, in primo luogo che nessuno possa essere condannato se non sono state raggiunte a suo carico prove certe di responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio. Anche le vittime del reato, che hanno talvolta subito danni patrimoniali o morali gravissimi a causa della azione criminale altrui, hanno peraltro qualche diritto che non può né deve essere sacrificato.
INES TABUSSO