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CORRIERE DELLA SERA
12 novembre 2005

Il caso dei 62 giudici azionisti, respinta la richiesta di tenere le udienze a Brescia
Mediaset, resta a Milano il processo sui diritti tv
I legali del premier: così si rischia di azzerare tutto

MILANO -I 62 magistrati-azionisti di Mediaset non bastano per ora a sospingere da Milano a Brescia l’udienza preliminare al termine della quale il giudice Fabio Paparella deciderà se rinviare a giudizio o prosciogliere il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri e altre 12 persone per le ipotesi di appropriazione indebita di 270 milioni di dollari, frode fiscale di 120 miliardi di lire e relativi falsi in bilancio fino al 1999 nella compravendita in Usa di diritti tv. Ma la motivazione, con la quale ieri il giudice ha respinto l’eccezione di incompetenza territoriale proposta da Mediaset, accende una pesante ipoteca sul futuro del processo, esponendolo alle conseguenze della possibilità che una delle toghe-azioniste possa attivarsi nel processo, anche solo nominando un legale o presentando di una memoria. E, di riflesso nel processo Parmalat, riapre spiragli agli imputati che in febbraio ne avevano chiesto il trasferimento a Brescia con una analoga eccezione, all’epoca respinta dal giudice Cesare Tacconi sulla base del fatto che agli atti non risultasse riscontro della denuncia presentata da un giudice-risparmiatore citato in alcuni articoli di stampa.

LA LISTA -E’ stato l’avvocato di Mediaset, Salvatore Pino, a domandare al ministero della Giustizia l'elenco di tutti i magistrati del distretto milanese dalla quotazione in Borsa nel 1996 a oggi, e a chiedere poi a Mediaset di controllare se tra essi vi fossero azionisti remunerati da dividendi. Il risultato, sul filo della legge sulla privacy derogata dal richiamo a motivi di giustizia, è stato un elenco in 9 anni di 62 magistrati possessori (quasi tutti in passato, 8 ancora oggi) di azioni Mediaset, da un minimo di 100 a un massimo di 4mila. A quel punto gli avvocati Pino (per Mediaset), Pecorella (che qui patrocina non più Berlusconi ma Fininvest) e Pesce (per la manager Fininvest Candia Camaggi), ai quali si è associato anche Ghedini per Berlusconi, hanno invocato l’articolo 11 del codice di procedura penale, ove stabilisce che, sui processi «nei quali un magistrato assuma la qualifica di persona offesa dal reato», siano competenti i magistrati di un altro distretto giudiziario predefinito (per Milano è Brescia).


LA «VESTE» -Il giudice Paparella, invece, ieri ha ritenuto di valorizzare la differenza tra il «rivestire» la qualifica di parte offesa e l’«assumerla». A suo avviso, ai fini del trasferimento di competenza, l'assunzione della qualità di persona offesa deve «presupporre l'insorgere di un rapporto giuridico processuale o almeno il verificarsi di un contatto con il procedimento». Insomma la parte offesa deve attivarsi. E invece i 62 giudici-azionisti «non sono in alcun modo intervenuti», tanto che di loro si è appreso «solo nell'ambito delle indagini difensive svolte da Mediaset». Dal rapporto di colleganza, dunque, non scaturirebbe «in concreto alcun pericolo di condizionamento del giudice né alcun pericolo che minacci la sua imparzialità reale e apparente», proprio perché le parti offese «sono rimaste del tutto inerti e passive» nell’udienza.


REAZIONI -«La decisione gravissima del gup ci espone tutti, a cominciare dagli imputati che dovessero essere prosciolti», lamenta l’avvocato del premier, Ghedini, «perché in qualsiasi momento uno dei 62 magistrati azionisti potrà costituirsi nel procedimento e azzerare tutto. Il processo andava spostato tranquillamente a Brescia, dove sarebbe ripartito in pochi mesi». E il sottosegretario forzista Michele Saponara ironizza: «Il codice "ambrosiano" continua a presentarsi diverso da quello italiano».
lferrarella@corriere.it
Luigi Ferrarella
INES TABUSSO