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LA STAMPA
17 gennaio 2006
LE CONSEGUENZE DEI CASI ANTONVENETA E BNL
Capitalismo degli amici
di Domenico Siniscalco

La saga bancaria legata a Antonveneta e Bnl sta suscitando furiose polemiche sul piano etico e politico. Si discute meno delle sue conseguenze economiche, che a me paiono invece molto rilevanti, innanzitutto per gli effetti negativi e duraturi sul mercato e sulla crescita.

Due disastrosi tentativi di scalata, condotti in nome di una difesa dell’italianità che nascondeva ben altro, hanno mostrato a tutto il mondo la versione italiana del «capitalismo degli amici», assestando un colpo micidiale alla credibilità del nostro sistema finanziario.

Capitalismo degli amici (in inglese crony capitalism), è il termine usato per definire e criticare il mercato dei capitali emerso nella Russia di Eltsin dopo le privatizzazioni, dove intrecci tra manager e politica, incertezza delle regole, assenza di trasparenza e di tutela per azionisti e creditori hanno generato oligarchie e enormi arricchimenti, a scapito dello sviluppo e del mercato. Da allora, il termine è stato usato per tutti i casi perversi di intrecci tra politica, banche e imprese.

Da noi il capitalismo non è tanto degradato quanto quello russo degli Anni Novanta. Ma le vicende bancarie dell’estate del 2005 hanno portato alla ribalta un gruppo di banchieri e investitori capaci di ogni genere di pratiche illegali, dotato di rapporti personali e poco ortodossi con la politica e con un Governatore partigiano, a sua volta capace di mobilitare un vero e proprio partito trasversale in Parlamento. Da tutto ciò è emerso, e si è progressivamente consolidato nell’opinione dei mercati, il quadro di un capitalismo poco trasparente, dove contano le amicizie più delle regole, dove i regolatori parteggiano, dove è normale fornire notizie false al mercato e dove norme troppo discrezionali possono essere piegate a piacere e adattate ad ogni fine. Tutto ciò ha inevitabilmente devastato la nostra reputazione internazionale, vanificando un decennio di sforzi importanti di modernizzazione del mercato finanziario. E ha gettato un’ombra anche su importanti operazioni del passato estendendo il proprio danno dal passato al futuro.

Il Paese, se pur con grande ritardo e difficoltà, ha sviluppato le proprie difese: ha estromesso i principali protagonisti di questa grottesca vicenda e ha sostituito il Governatore con una persona competente e credibile sul piano internazionale. Ma le conseguenze economiche delle scalate bancarie del 2005 sono pesanti e difficili da cancellare. L’Italia è precipitata nelle classifiche internazionali della competitività. La reputazione della Banca d’Italia ha subito un duro colpo. Sui grandi media mondiali e nell’opinione dei mercati è riemersa un’antica diffidenza nei confronti del nostro mercato. Quanto basta per sviare ulteriormente i flussi di investimenti internazionali.

Per questi motivi, le conseguenze economiche di questo scandalo mi preoccupano molto più delle discussioni sul piano etico politico. Ritengo perciò che la sostituzione del Governatore e l’estromissione dei protagonisti delle vicende bancarie siano solo la prima metà della risposta che si rende necessaria. Credo, anzi, che le deviazioni che si sono verificate siano state possibili innanzitutto per la profonda inadeguatezza delle regole.

Un’amplissima esperienza internazionale mostra che lo sviluppo del mercato e dell'economia è legato alla bontà delle regole e delle istituzioni che le applicano. Un mercato evoluto non è il prodotto spontaneo dell'agire umano, ma è anzi il frutto sedimentato di scelte deliberate e regole raffinate nel tempo. Senza un’efficace tutela di azionisti di minoranza e creditori (cioè del risparmio) non vi può essere fiducia e i capitali si rivolgono comprensibilmente ad altri mercati.

E’ dunque urgente il recepimento dettagliato dei principi fondamentali contenuti nella nuova legge sul risparmio, insieme a una più generale cultura del mercato e delle istituzioni nel senso della trasparenza, della concorrenza, della separazione tra banche, imprese e politica: un lavoro di ingegneria istituzionale senza il quale l'investimento e la crescita continueranno ad essere un desiderio, ma non una possibilità concreta. Queste azioni non sono impossibili né troppo difficili da realizzare, ora che abbiamo rimosso le principali barriere al cambiamento. Sono azioni persino popolari, a differenza di altre riforme strutturali pur necessarie. E su queste questioni, al di là delle polemiche, sarebbe utile conoscere l’impegno delle coalizioni in vista delle prossime elezioni.


INES TABUSSO