00 19/02/2006 22:03


LA REPUBBLICA
19 febbraio 2006
EUGENIO SCALFARI

NON è la prima volta che Calderoli si dimette da ministro delle Riforme. Lo fece qualche mese fa per mantenere il voto parlamentare sulla legge detta «devolution» al primo posto nell´agenda delle Camere. Quel gesto, spalleggiato da Bossi e fiancheggiato dallo stesso presidente del Consiglio, serviva a mettere in riga il partito di Casini e riuscì perfettamente nell´intento. Le dimissioni furono prontamente ritirate e la legge passò con il voto blindato di tutta la maggioranza.
Questa volta il caso è diverso, c´è di mezzo il rapporto con la Libia, deposito e serbatoio del flusso imponente dell´emigrazione clandestina africana. Ci sono di mezzo anche undici morti e decine di feriti, ma di quest´aspetto cruento delle goliardate leghiste nessuno si preoccupa, né in Italia ma neppure in Libia, quella gente è carne da cannone e di loro chi se ne frega.
Apro una parentesi: per virtù di Berlusconi la Libia è da due anni uscita dall´elenco degli Stati-canaglia e dall´embargo che vigeva fin dai tempi di papà Bush. La sua «riconquista» alla democrazia occidentale e all´amicizia con l´Italia è stata più volte celebrata e portata ad esempio insieme alle elezioni democratiche (?) in Egitto, in Libano e in Iraq. Per noi in particolare è stato sbandierato come grande successo l´accordo di congiunta sorveglianza dei porti libici per impedire gli imbarchi clandestini. Il nostro ministro dell´Interno è stato varie volte a Tripoli affiancato da folte delegazioni e tornandosene a casa onusto di allori e di protocolli di intesa.
Risultati concreti neppure l´ombra: gli imbarchi dei clandestini sono tranquillamente continuati. Ma ora apprendiamo dallo stesso governo che la Libia è rimasta un paese dominato da un regime di terrore e che il malanimo contro l´Italia è più vivo che mai. Noi lo sapevamo da un pezzo, ma la versione ufficiale dipingeva bianco quello che ora risulta nero e il sistema televisivo comunicava fedelmente il messaggio alle masse degli italiani in ascolto. Contrordine: non è così. Il colonnello Gheddafi è tuttora un nostro acerrimo nemico.
Comunque il caso Calderoli non è un episodio personale dovuto all´irruenza non controllabile d´un personaggio bizzarro. Il caso Calderoli nasce nell´humus leghista, nella innata patologia leghista, nella sua anomalia che però da cinque anni costituiscono il puntello più efficace di Berlusconi nei confronti degli altri suoi alleati e nel dominio elettorale (almeno finora) delle grandi regioni padane.
I vertici il Cavaliere li fa con Fini e Casini ma per Bossi c´è il trattamento speciale della cena del lunedì nella villa di Arcore, con il sottosegretario Brancher come terzo convitato, quello stesso che nelle deposizioni del banchiere Fiorani risulta destinatario di cospicue elargizioni da parte della Banca popolare di Lodi.
Il ministro Fini e il ministro Buttiglione hanno detto l´altro ieri che il comportamento di Calderoli è vergognoso. La verità è un po´ diversa: è vergognoso che Calderoli sia ministro della Repubblica come è vergognoso che il ministro della Giustizia sia Castelli ed è altrettanto vergognoso lo sia Lunardi, ministro dei Lavori Pubblici e al tempo stesso appaltatore di lavori pubblici.
Lunardi semmai ha la scusante che il vero titolare dei conflitti d´interesse è lo stesso presidente del Consiglio.
In questo ha ragione. È infatti vergognoso che al vertice del potere esecutivo sieda Silvio Berlusconi.

Del sondaggio americano nessuno ormai parla più, neppure il suo Committente. È stato affondato dal semplice fatto che la ditta che l´ha effettuato è il consulente della campagna elettorale del Committente, per conseguenza il sondaggio costituisce uno degli elementi della consulenza.
Ma ne accenno qui solo per ricordare un particolare abbastanza umoristico oltre che rivelatore: quando il Committente annunciò d´avere affidato alla Pbs un sondaggio elettorale disse che esso avrebbe certificato l´avvenuto sorpasso rispetto alla coalizione avversaria. Lo annunciò, il sorpasso, nel momento stesso in cui dava il via a quel sondaggio del quale però conosceva già l´esito prima ancora che fosse effettuato. Una preveggenza fantastica, fuori dal comune. Accanto a Napoleone e a Gesù Cristo abbiamo la reincarnazione dell´oracolo di Delfi e della Sibilla Cumana. Poi si dice che un uomo così ce lo invidiano anche all´estero. Lo credo bene. Ce lo invidiano e ne ridono a crepapelle. Purtroppo per noi non è un oggetto esportabile.
Se glielo mandassimo in dono respingerebbero il pacco al mittente senza neppure aprirlo.

* * *
Accantonato il sondaggio, ora si discute se il Contratto con gli italiani firmato in carta da bollo da Berlusconi durante la campagna elettorale del 2001 sia stato onorato oppure no. C´è chi giura sul suo completo adempimento, chi lo nega e chi si tiene a mezza strada e fornisce percentuali più o meno verificate e verificabili.
Se ne parla da Vespa, se ne parla a «Primo Piano», se ne parla soprattutto nel salottino televisivo di Giuliano Ferrara e in altri luoghi consimili.
La verità l´ha bene scritta Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera di qualche giorno fa. Noi - se è permessa l´autocitazione - l´avevamo scritto fin da allora cinque anni fa e poi l´abbiamo ripetuto fino alla noia.
La verità è dunque questa: l´obiettivo principale di quel contratto era sbagliato in radice. Primo perché era irrealizzabile e lo si sapeva fin da allora. Secondo perché quand´anche fosse stato realizzato era un obiettivo non utile al buon andamento dell´economia italiana. Per questo è del tutto inutile discutere se sia stato realizzato o no.
L´obiettivo principale, che fu in gran parte l´elemento della vittoria del centrodestra, era la riforma delle aliquote Irpef e Irpeg e il connesso abbattimento della pressione fiscale. Improbabile da realizzare perché proprio all´inizio del 2001 (e non dopo l´11 settembre come ancora afferma Tremonti) cominciò a sgonfiarsi rovinosamente la bolla speculativa che aveva sostenuto per anni la Borsa americana e la domanda internazionale.
Un governo capace avrebbe dovuto sapere che la domanda mondiale, consumi e investimenti, stava entrando in situazione di ristagno, che il Pil dei paesi industriali sarebbe diminuito e che di conseguenza le entrate tributarie avrebbero registrato serissime difficoltà.
In queste condizioni ridurre la pressione fiscale e volgere verso più basse aliquote le imposte sul reddito era un rischio della massima gravità. Ma tutto questo fu volutamente ignorato.
Dico volutamente perché Berlusconi e i suoi spin doctors elettorali erano sicuri (ed in questo avevano ragione) che lo slogan «meno tasse per tutti» avrebbe assicurato la vittoria. Di qui la grande idea del Contratto e di qui il vincolo che il «premier» pose al suo ministro dell´Economia: ridurre le aliquote doveva essere l´obiettivo da realizzare a tutti i costi. Del resto lo è ancora oggi visto che il «premier» promette e s´impegna per i prossimi cinque anni ancora sul tema della riduzione delle tasse (il che tra l´altro è l´ennesima conferma che quell´obiettivo non è stato realizzato).
Tremonti naturalmente ubbidì. Con ritardo ma non per colpa sua. Nei primi cento giorni (ma anche nei secondi e nei terzi cento giorni) la legislazione ad personam e l´inutilissima battaglia sull´articolo 18 (che fu poi abbandonata come un figlio bastardo) impegnarono le energie di tutto il governo e di tutta la maggioranza. Ma poi arrivò il momento di adempiere all´impegno maggiore. Si buttarono al vento i primi 6 miliardi, poi altri 6 e ci si preparava ad arrivare ad un totale di 18. Ventiquattromila miliardi di vecchie lire gettate dalla finestra che ebbero effetto zero sui consumi, sugli investimenti, sulla competitività, sulla dimensione delle imprese. Ma ebbero effetto rovinoso sulla finanza e sull´economia nel suo complesso: avanzo primario distrutto, debito pubblico aumentato, esportazioni in crollo, perimetri internazionali saltati.
Per evitare la bancarotta certificata piovvero i condoni, la finanza creativa, lo spostamento del peso fiscale sugli enti locali e sui servizi, l´accrescimento delle imposte indirette sui consumi e sugli affari.
Nei più recenti dibattiti televisivi Tremonti sostiene che l´azzeramento dell´attivo di bilancio non ha alcuna importanza e che viceversa quello che conta è l´andamento del debito pubblico che per noi sta andando bene.
Per me è fonte di crescente e anche ammirato stupore ascoltare queste affermazioni da parte del ministro dell´Economia che ce le propina nella convinzione evidente di avere come interlocutori dei perfetti imbecilli (tra gli interlocutori ci metto per primi 50 milioni di elettori ai quali queste affermazioni sono rivolte). Ma a questo punto voglio osservare: 1. Quando il rapporto fra entrate e spese è squilibrato l´avanzo primario del bilancio sparisce e diventa disavanzo. Così è esattamente avvenuto nei cinque anni di governo del centrodestra.
2. Quando il bilancio è in disavanzo lo Stato non può che ricorrere al debito pubblico o all´inflazione. Non potendo far ricorso a quest´ultima poiché non è più nelle mani della Banca Centrale Nazionale, si è fatto appunto ricorso al debito. Esso fu ridotto, in rapporto al Pil, dai governi di centrosinistra a quota 105 creando nel contempo un avanzo primario di bilancio pari al 5 per cento del reddito. Il governo Berlusconi-Tremonti ha mandato in disavanzo il bilancio ed ha riportato il debito pubblico a 107-8.
Probabilmente il 2006 si chiuderà con un debito a livello di 110 rispetto al Pil.
Voglio infine spiegare perché gli obiettivi del governo, ove mai fossero stati realizzati, sarebbero stati soltanto un inutile sperpero di denaro.
L´economia italiana non ha bisogno di stimolare la crescita della domanda ma piuttosto la crescita dell´offerta: offerta di nuovi prodotti, cioè innovazione. In questa situazione lo stimolo fiscale deve essere concentrato sulle imprese e non sui redditi personali. Ridurre il cuneo fiscale è utile alla competitività, ridurre le aliquote Irpef è inutile specie se la maggior riduzione va ad avvantaggiare i redditi più elevati.
Onorevole Tremonti, la sua pagella contiene dunque cifre e orientamenti sbagliati. Lei merita zero in profitto ma lode in capacità di accalappiare i gonzi.
Spero vivamente che questa volta i gonzi siano pochi.
INES TABUSSO