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LA STAMPA
6 marzo 2006
L’EX MINISTRO STAR DA BENGASI A KABUL REGISTRERÀ UN FILMATO, NON UN’INTERVISTA, PER AL JAZEERA. «UN ONORE ESSER NEMICO DI ZAWAHIRI»
E il Dentista manda un video al Dottore
di Jacopo Iacoboni


TORINO. «Venga, venga qui». Sarà mica pericoloso? «Ma no, venga che le faccio vedere». Roberto Calderoli si accende una sigaretta fuori al teatro Gioiello, dove ha appena arringato i giovani padani a congresso a Torino. Sbottona lentamente il primo bottone del blazer, sorriso luciferino. Oddio, no. Sbottona il secondo. Sotto s’intravede una t-shirt bianca con incisioni verdi. Vorrà mica rifarlo? La giacca si apre, l’adipe stavolta è fasciato da una scritta innocua, «orgoglioso di essere padano», ma a Kabul la conoscono, la Padania? E comunque questa è una storia infinita, sotto la t-shirt ce ne può essere un’altra, e un’altra ancora, e magari finite le magliette qualche tatuaggio a pelle...

Già perché l’uomo che avete davanti è ormai una celebrità del brand globale chiamato «scontro di civiltà». Serve a infiammare folle e si vende con successo dal suk di Marrakech alla piazza di Bengasi, dalle cammelliere sul Gobi ai picchi del Waziristan, dai carretti di frutta sulla piazza di Islamabad alle vallate impervie del Kyber Pass o del Cusio Ossola: Calderoli alè alè, un idolo per le più disparate fazioni. «Che onore, e che responsabilità», scherza (ancora) lui, non intimidito dal grande caos alimentato dalla vignetta-story, ma con un certo tic che gli fa roteare le pupille alzando le sopracciglia. «Con tante brutte malattie è meglio andarsene per qualcosa in cui si crede piuttosto che essere in un letto a soffrire», ha detto quando gli hanno chiesto se ha paura delle minacce di Al Zawahiri. Ma in fondo sempre dottori sono, quello laureato al Cairo e ribattezzato, con titolo generalista, il Dottore, e questo laureato a Bergamo e chiamato più semplicemente il Dentista. Il Dottore ha fatto al Dentista «l’onore» di una citazione, il Dentista gli risponderà oggi spedendogli un video su Al Jazira.

Colpisce in questo Calderoli la assoluta gentilezza dei modi, l’ironia vezzosa che usa con un cronista dell’Italpress (del tutto diversa da quella sferzante, poniamo, di un Massimo D’Alema), confrontata al peso oggettivo di certe sue parole. Quando, a tu per tu, si concentra ormai su temi d’alta filosofia della religione concernenti il conflitto tra le civiltà, domanda: «Ma lei che ha una faccia così bella, li ha capiti ‘sti islamici? Vogliono far credere che noi abbiamo dichiarato una guerra a loro, ma è vero il contrario, noi siamo già in guerra, senza che nessuno, a parte la Lega, abbia il coraggio di dirlo». Una guerra globale, par di intuire; il fatto è che la si combatte - spiega - anche coi fraintendimenti mediatici, la guerra d’immagine, le parole buttate là e i vestiti indossati. Si scopre, per esempio, che l’operazione-vignetta rientrava nel genere «abbiamo o no la libertà di vestirci come vogliamo?».

In ogni caso il Dentista citato dal Dottore è convinto d’esser vittima di tante male interpretazoni mediatiche: «Non volevo affatto svilire la loro religione, anzi, la stimo moltissimo, stimo gli islamici perché hanno il coraggio dei loro ideali più di quanto ce l’abbiamo noi cristiani, che dovremmo prendere esempio, batterci per i nostri valori come loro fanno per i loro. Quelli contro cui mi scagliavo con la vignetta erano altri, i fondamentalisti, i terroristi, come Gheddafi, non gli islamici. È il colmo essere rivalutato ora attraverso le parole di Gheddafi dopo esser stato affondato da quelle di Berlusconi». Passa un leghista nero di Druento, vicino Torino, Soha Ambroise, origini in Costa d’Avorio, tessera della Lega di Torino, «oh, ciao ministro», gli dice. «Vede? Può pensare che sono razzista io?». È anche «amico degli immigrati»... Stessa tesi di Marione Borghezio, che un’oretta prima, sul palco, s’era occupato della sua guerra più casereccia, quella coi no global, mostrando loro il dito medio e dicendo «vi ho fottuto per la terza volta, ieri a Padova!». Non ce n’erano, per fortuna, in sala. Il cd di Zucchero cantava Va’ pensiero, Alberto Fortis «io vi odio voi romani/ io vi odio tutti quanti/ brutta razza di ruffiani e di intriganti»...

Calderoli no, Roma ormai gli sta stretta, ha dinanzi voli imprevedibili ed ascese velocissime. Orizzonti planetari: «Domani andrò su Al Jazira perché capisco che qualche problemuccio c’è stato», ma non è certo colpa sua. Il fatto è che nel rifiuto delle culture le meta-spiegazione, la spiegazione della spiegazione, può persino essere più insidiosa della battuta originaria; e dunque ad Al Jazira Calderoli manderà uno «statement», un video in una cassetta preregistrata, stile Berlusconi della discesa in campo, ché in fondo anche questa lo è. «Sì, mi hanno detto che c’è questa taglia..., ma che credono, di spaventarmi? Bossi? È ovvio che a lui nessuo lo spaventa». Anzi.

«Oh, come sta bene l’Umberto! ... stamattina mi chiama e mi fa “devi venire a Gemonio, ce la fai in un’ora?”... ci sono le candidature da chiudere, ma come cavolo potevo farcela? ... e dovevo anche venire qui a Torino, mica sono Superman...». Superman magari no, ma che hombre vertical, e che brivido stargli a fianco nella Torino multietnica.

«Bossi m’ha detto che o mi faccio dare quei soldi da Berlusconi o mi consegna lui con le sue mani agli arabi, così ci paghiamo la campagna elettorale. Mi ha detto “Roberto, avevi ragione tu, hai visto?”». Lo pensa anche la quarantenne che lo avvicina, lo bacia avvampando e gli chiede, a due centimetri dal suo viso, «Roberto, allora sei d’accordo a far fare la campagna elettorale a Willy Pasini col crocifisso appeso al collo?». E perché no, magari è un altro tasssello del brand globale «scontro di civiltà», «chiamami in settimana, o passami a trovare».
INES TABUSSO