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"Forse sarebbe giusto concepire un vero e proprio percorso a tappe verso la piena cittadinanza. Ma è giusto che questa sia un obiettivo raggiungibile da parte di chi rispetta le regole... bisogna dosare i segnali di apertura e mostrare anche molta fermezza nell'imporre il rispetto delle regole"




LA STAMPA
7 agosto 2006
Il diritto e le regole
di Tito Boeri


Il disegno di legge sulla cittadinanza degli immigrati approvato dal Consiglio dei ministri venerdì scorso rappresenta il quarto segnale di apertura verso gli immigrati lanciato dal governo in meno di un mese. Segue al decreto flussi, che ha di fatto cancellato la quota di ingressi per il 2006 accogliendo tutte le richieste presentate, all'apertura delle frontiere ai lavoratori dei nuovi Stati membri dell'Unione, alla rinuncia alla restituzione del bonus bebè da parte delle famiglie di immigrati che se lo erano viste riconoscere nonostante la legge li escludesse da questo beneficio. Sono scelte tutte condivisibili. Abbiamo bisogno di investire nell'integrazione di quello che è destinato a divenire nel volgere di pochi anni più del 10 per cento della popolazione italiana. Ed è ridicolo attribuire il diritto di voto a chi da generazioni vive in Australia e non paga le tasse in Italia e negare questo diritto a chi è nato, ha studiato e lavora regolarmente da noi da anni. Si può discutere sui tempi e delle modalità. Forse sarebbe giusto concepire un vero e proprio percorso a tappe verso la piena cittadinanza. Ma è giusto che questa sia un obiettivo raggiungibile da parte di chi rispetta le regole. Sarebbe poi stato masochistico continuare a chiudere le frontiere ai lavoratori all'Est, più istruiti della media della nostra forza lavoro e a noi culturalmente più affini di altri immigrati. Ipocrite, infine, le quote della Bossi-Fini che fanno finta che le domande vengano presentate da chi deve ancora venire in Italia, mentre in realtà è già da noi in attesa di regolarizzazione.

Ma è pericoloso dare in questo momento solo segnali d'apertura. Siamo già oggi un forte polo di attrazione degli immigrati, con più di 300.000 flussi in ingresso all'anno. E l'immigrazione procede a ondate: le politiche dell'immigrazione servono proprio a imporre gradualità negli ingressi rendendo i flussi migratori, vitali per la nostra economia e inevitabili alla luce delle disuguaglianze planetarie, anche socialmente accettabili. Per questo bisogna dosare i segnali di apertura e mostrare anche molta fermezza nell'imporre il rispetto delle regole. Si aggiunga a tutto ciò il fatto che una schiacciante maggioranza nel nostro Parlamento ha votato la scorsa settimana un indulto che ha portato alla scarcerazione di più di 5.000 immigrati clandestini, in stato di detenzione perché trovati senza regolare permesso di soggiorno. Per questi motivi l'attivismo del governo su questi temi deve continuare. Bisogna al più presto dare segnali altrettanto forti su come intende regolare gli ingressi. Ci vogliono quote realistiche e riempite non in base alla data di presentazione della domanda, ma alle caratteristiche (ad esempio conoscenza della lingua italiana o inglese), qualifiche e livello di istruzione degli immigrati. Occorrono anche nuove proposte su come contrastare l'immigrazione clandestina dopo il palese fallimento di tutte le politiche tentate sin qui, a partire da quelle muscolari patrocinate dalla Lega, che hanno portato solo a riempire le nostre prigioni e fatto pericolosamente salire la tensione nelle nostre periferie.

Cosa fare allora? L'irrigidimento dei controlli alle frontiere annunciato in questi giorni dal governo è molto costoso e poco efficace. Come ci insegna l'esperienza trentennale degli Stati Uniti, si tratta di operazioni mediatiche che, al più, aumentano gli arresti alla frontiera, senza tuttavia ridurre i flussi di immigrazione clandestina. Giusto che l'Europa ci aiuti nei pattugliamenti al largo di Lampedusa, come annunciato in questi giorni dal commissario europeo Frattini, ma non facciamoci troppe illusioni sulla loro efficacia. Il passato governo ha dato priorità alla identificazione e detenzione degli immigrati trovati clandestinamente sul territorio del nostro Paese, destinando a questo più del 50% delle risorse delle forze di polizia in città come Milano. Sottrae risorse alla lotta alla criminalità, grava sull'erario (ogni detenuto costa allo Stato 120 euro al giorno), e poi, al termine del periodo di detenzione quasi tutti i clandestini rimangono in Italia e continuano ad operare illegalmente.

Questo governo dovrebbe invece investire nei controlli capillari sui posti di lavoro. E' il fatto di sapere che si troverà comunque un lavoro ad alimentare i flussi di clandestini. Se non ci fosse il lavoro in nero, i clandestini non investirebbero così tanto (fino a rischiare la loro vita) in una missione destinata a non dare loro un reddito. Inoltre, un immigrato clandestino passa la frontiera una volta sola, ma si reca al lavoro ogni giorno. Quindi è molto più facile scovarlo sul posto di lavoro che alla frontiera. Utile allora potenziare gli ispettorati del lavoro (il cui personale è stato quasi tutto promosso a incarichi direttivi, privandolo di funzionari addetti alle ispezioni) e rendere l'impiego irregolare di lavoratori immigrati un reato perseguibile anche penalmente, come avviene oggi negli Stati Uniti. Chi specula sul lavoro illegale degli immigrati non è certo scoraggiato dalle sole sanzioni amministrative, che ha una probabilità molto bassa di pagare.

Se il governo avrà il coraggio di compiere questa svolta nelle politiche dell'immigrazione, potrà anche pienamente legittimare le scelte che ha compiuto sin qui. Si è presentato come l'alfiere della lotta ai condoni, ma è difficile non vedere nel decreto quote 2006 e nella scarcerazione di molti immigrati clandestini una forma di amnistia. Può essere giusto sanare il pregresso quando poi si cambia davvero la normativa. Significa che si vuole cambiare regime, azzerando la situazione. Ma se non si cambia regime, allora rimane solo la sanatoria e, con questa, una implicita promessa che anche in futuro chi oggi non rispetta le regole verrà perdonato.



INES TABUSSO