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LA STAMPA
12/2/2007 (7:44)
UNIONI CIVILI
"Così distruggono i matrimoni civili"
Tremonti: "Le proteste dovrebbero venire dai laici, non dai cattolici"
UGO MAGRI


ROMA
«Voluta o no, la sequenza Pacs-nonPacs-Dico ha integrato una sofisticata tecnica di potere», sostiene Giulio Tremonti. E’ «la tecnica dell’illusione: annuncio un provvedimento che viene percepito come negativo; lo ritiro per dare un segnale positivo; ne faccio un secondo ancora più negativo del primo. I Dico sono molto più “avanzati” dei Pacs. E in questi termini collimano perfettamente con il programma dell’Unione».

Com’è che lei se l’è andato a esaminare?
«Succede spesso che un testo politico venga sottovalutato. E invece sono proprio questi testi quelli che poi vengono applicati alla lettera, spiazzando tutti. Leggiamolo insieme: “L’Unione proporrà il riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto... Non è dirimente il genere dei conviventi né il loro orientamento sessuale... E’ qualificante il sistema di relazioni sentimentali... la loro stabilità e volontarietà”. Questa formulazione larga identifica una figura che va oltre il concetto di coppia, infatti non c’è il numero “due”, e passa attraverso la famiglia, spaccandola. E’ una figura insieme vecchissima e modernissima. Vecchissima: come nel basso Impero. Modernissima: la “horizontal family” che ogni tanto appare nei testi più “avanzati” di Bruxelles. L’antico diritto romano, nella sua ferrea linearità, conosceva i contratti e i delitti. E’ a Bisanzio che la linearità viene sostituita dall’ambiguità. Sostituzione operata con il “quasi”: appaiono i quasi-contratti, i quasi-delitti. Ora il Dico è un quasi-matrimonio. Un mezzo e mezzo in cui non si capisce cosa è cosa».

Allora il ministro Bindi ha ragione: sui Dico non mi hanno capito...
«Il suo rammarico è ingiustificato. L’hanno capita benissimo. Infatti è proprio per questo che sta iniziando la reazione».

Quella vaticana?
«Ridurre tutto alla dialettica laico-cattolico è non comprendere l’essenza politica del problema. L’analisi sui Dico non va fatta solo sulla dividente laico-cattolico per una ragione molto semplice: i Dico non sono destinati a svuotare soltanto il matrimonio religioso, ma anche il matrimonio civile. Sorprende l’assordante silenzio della voce laica, di una voce che esprima gli antichi e grandi principi che hanno portato i padri costituenti a scrivere l’articolo 29 della nostra Costituzione. Manca la difesa dei valori laici, a partire dalla famiglia».

Qual è, sui Dico, il vero discrimine?
«La vera dividente non è tra laico e cattolico, e neanche tra destra e sinistra, ma tra due visioni della società, strutturata e destrutturata; tra responsabilità civili e libertà generali; tra doveri e diritti; tra morale e amorale; tra permanente ed effimero... Il Dico costituisce insieme, paradossalmente, il trionfo del Sessantotto e la porta per l’ingresso da fuori di persone, costumi e religioni più forti».

Perché chiamare in causa il Sessantotto?
«Il Dico sublima la cultura del consumismo. Consente di passare, come su una piattaforma girevole, dal consumo delle cose al consumo dei rapporti, delle relazioni e dei sentimenti in nome della nuova ideologia delle liberalizzazioni. L’essenza del Dico, matrimonio pop, è nella banalizzazione. Non è nemmeno più necessario salire al piano di sopra del Municipio: è sufficiente fermarsi al pian terreno in sala anagrafe per fare shopping giuridico, per consumare al banco un prodotto tipico di questo tempo. Immersi come moltitudine nella solitudine dell’effimero. Un prodotto a bassa intensità morale, e per questo un prodotto che ha un plus rispetto al matrimonio religioso o civile, così démodé nella liturgia, soprattutto così carico di fastidiosi vincoli e doveri... A questa visione si oppone, e francamente credo che debba essere opposta, una visione antica e forte della società, fatta da principi e da doveri».

Non le sembra di dare troppo significato a una riforma, in fondo, così limitata? «Leggiamo allora l’articolo 1:
“Due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente..., non legate da vincoli di matrimonio, parentela in linea retta...”. Basta e avanza per capire che questa formula legittima tanto l’incesto quanto la poligamia».

L’incesto, addirittura?
«Il Dico è vietato tra padre e figlio in linea verticale, ma è chiaramente permesso in linea orizzontale tra fratelli e sorelle. Idem per la poligamia: il Dico è a “due”, ma la legge non vieta che la stessa persona possa fare due, tre, quattro Dico, naturalmente in presenza delle stesse condizioni di convivenza, affetto eccetera, come è tipico, in senso post-moderno, delle situazioni di gruppo e, in senso più profondo, per le persone di religioni che ammettono la poligamia».

Vedremo la versione finale del testo. Ma perché, secondo lei, tutto questo?
«Prodi ha fatto un’operazione ad alta intensità politica. La Dico-legge è un misto tra un testo giuridico e un manifesto ideologico mirato a ridisegnare la società. Non era l’unica strada che aveva davanti il governo».

Quale altra strada?
«La società in cui viviamo contiene complessità e crea problemi umani. Questi problemi vanno risolti e possono esserlo in concreto. Non è necessario metterci sopra un carico ideologico. Esiste già il Dpr 89 n. 223 che regola la famiglia anagrafica anche in base ai “vincoli affettivi”. Era sufficiente inserire su questa base i nuovi diritti di locazione, successione, visita eccetera. Ma a Prodi i diritti non interessano».

E cosa, sennò?
«Gli interessa creare il Dico-matrimonio. Prodi non è interessato ai diritti ma all’ideologia. Ed è per questo che ha preso la terza via».

Quali altri danni prevede?
«Il Dico è un moltiplicatore su vasta scala di permessi di soggiorno e di pensioni reversibili. Sfondando i conti pubblici».

Nell’Unione Mastella ha già detto che non lo vota.
«Il disegno di legge arriverà in Parlamento con la firma del Guardasigilli: Mastella. Sommando gli opposti, Mastella si presenta come il leader sintetico naturale del nuovo Partito democratico».





INES TABUSSO