00 17/07/2007 20:51


SERENO VARIABILE



"Vi cito, fra le altre dello stesso tono, due e-mail ricevute lunedì 11: «Maledetto ladro, cane, l'ambulanza lasciala a chi veramente sta male». Un'altra: «Si vergogni schifoso maledetto!!!! Di cuore. Sei un imbecille, un arrogante, un ladrone della cosa pubblica per cui se vuoi salvare la Patria e il Senato (che purtroppo contiene altri a te pari) rinuncia alla tua carica e sparati un colpo in testa»".
(On. Gustavo Selva, AN, intervento in aula a proposito del ritiro delle proprie dimissioni, presentate con lettera in data 11 giugno 2007, 17 luglio 2007)



"Onorevoli senatori, il pensiero che un voto in meno del centro-destra possa concedere un giorno in più al Governo Prodi travolge ogni altra ragione che mi spingerebbe alle dimissioni. Mi spiace per il ministro Livia Turco, ma più delle sue accuse mi interessa il giudizio sereno di tanti cittadini che in questo lungo mese mi hanno inviato e-mail, che mi hanno telefonato e che ho incontrato, specialmente nel Veneto così come nelle strade. E sono tutti messaggi che mi invitano a restare. Assumo su di me la responsabilità politica di ritirare le dimissioni presentate con lettera dell' 11 giugno".
(On. Gustavo Selva, AN, intervento in aula a proposito del ritiro delle proprie dimissioni, presentate con lettera in data 11 giugno 2007, 17 luglio 2007)







VEDI:



Ordine del giorno
XV LEGISLATURA
Martedì 17 luglio 2007
195ª Seduta Pubblica
ORDINE DEL GIORNO
alle ore 16,30
I. Votazione sulle dimissioni presentate dal senatore Selva (scrutinio segreto) (alle ore 16.30)



SENATO DELLA REPUBBLICA
------ XV LEGISLATURA ------
195a SEDUTA PUBBLICA
RESOCONTO STENOGRAFICO
MARTEDÌ 17 LUGLIO 2007
(Pomeridiana)

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Presidenza del vice presidente CALDEROLI


Ritiro delle dimissioni presentate dal senatore Gustavo Selva (ore 16,49)


PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la votazione sulle dimissioni presentate dal senatore Gustavo Selva con lettera in data 11 giugno 2007.

Il senatore Selva ha chiesto di intervenire. Ne ha facoltà.


SELVA (AN). Signor Presidente, onorevoli senatori, ringrazio anzitutto il presidente Altero Matteoli e l'onorevole Francesco Giro di Forza Italia, gli unici che si sono espressi pubblicamente sul mio caso dopo avere capito il significato politico delle mie dimissioni.

In queste settimane alcuni amici hanno giudicato che con le mie dimissioni io prendevo troppo sul serio l'"affare autoambulanza" (è vero che, nella storia di questa città, un'altra autoambulanza ha fatto - appunto - storia, 64 anni fa, in questo mese; mi auguro almeno di non fare la fine dell'ospite di allora) o mi credevo io stesso troppo importante come bersaglio politico e massmediatico.

Sarebbe così, onorevoli colleghi, se a scatenare la bufera non fossero stati tre aggettivi squalificanti con cui il ministro della salute, Livia Turco, senatrice, ha politicamente marchiato a fuoco il mio comportamento; i tre aggettivi squalificanti sono: "vergognoso", "irresponsabile", indegno. Lasciamo stare i primi due, se vogliamo essere generosi; ma "indegno" vuol dire indegno di restare qui in mezzo a voi.

Prese in assoluta solitudine, le mie dimissioni messe nelle sue mani, onorevole Presidente, erano la risposta che ho sentito il dovere di dare.

Nella professione di giornalista, e nella vita politica (mi scuso se la prendo in po' alla lontana, permettendomi di chiedere la vostra attenzione), al Parlamento europeo, alla Camera dei deputati (dove ho assunto importanti ruoli istituzionali) e ora qui, al Senato della Repubblica, io ho fatto esclusivamente esercizio di parole scritte o radioteletrasmesse, cioè di idee; per cui davvero, con Carlo Levi, penso che anche stavolta le parole di una senatrice siano state pietre, che dovevano avere il loro seguito in quest'Aula, cosa che mi ci accingo a fare da parte mia.

Anzitutto, i tre aggettivi hanno orientato i titoli e i commenti apparsi su tutti i quotidiani italiani e, nei giorni successivi, anche su gran parte della stampa e delle emittenti televisive internazionali. «Le Monde», con la penna di Robert Solé, ex corrispondente da Roma, ha scritto: «Perdere il posto per così poco è desolante. Se si pensa a tutte le ruberie, grandi o piccole, che permettono di accedere alle poltrone e di mantenerle, io mi rifiuto di gridare con il coro "commediante"». E, ironicamente, conclude con il detto italiano: «Non si spara sulla Croce Rossa».

C'era una soluzione immediata, onorevoli senatori, che avrebbe portato al ritiro altrettanto immediato delle dimissioni: era nelle mani del Ministro della salute per l'improvvida dichiarazione contro di me; l'avesse annullata quella dichiarazione, anche magari senza scusarsi, io avrei ritirato le dimissioni.

Penso che la senatrice Turco non l'abbia fatto perché il Ministro della salute credeva forse di riequilibrare, con la sua accusa di indegnità, la bufera massmediatica che in quei giorni coinvolgeva - e per motivi ben diversi - i nomi di Fassino, D'Alema, Visco, i quali, giustamente, non hanno pensato neppure per un attimo a dimettersi, perché si trattava di materia su cui dovevano parlare per primi i giudici. Ma per loro nessuno, della destra o della sinistra, ha pronunciato la sentenza di indegnità di restare in Parlamento, come la senatrice Livia Turco ha fatto invece per me.

Vediamo allora, se consentite, i fatti veri.

Ho cercato per mezz'ora, con l'aiuto di un gentile funzionario di Polizia, di fare arrivare un taxi almeno a ponte Cavour (lo sottolineo: almeno a ponte Cavour). La stessa cosa ha fatto una segretaria de "La7". Invano. Il blocco era ferreo. Era tanto ferreo che anche un collega mi ha detto che non è potuto entrare nella sua abitazione e questo sarà pronto a testimoniare.

Le concitate telefonate mi hanno provocato fibrillazioni cardiache (non voglio la vostra indulgenza, ma sono portatore di quattro bypass), per cui sono stato accomodato e soccorso nell'ambulanza di servizio di Palazzo Chigi o di Palazzo Montecitorio. Sono stato poi trasportato all'ospedale San Giacomo.

Mi sono ristabilito, forse anche in virtù del primo soccorso che mi sono dato io, che porto sempre il "Carvasin" con me (il senatore Selva estrae dalla tasca e mostra una confezione del medicinale), al punto che la Presidenza del Consiglio - tenete presente, per favore, questo passaggio - mi proponeva una seconda macchina: è stata invece decisa, con il responsabile dell'autoambulanza, la soluzione di non mettere in moto un meccanismo ancora più complicato e di portarmi, con il mezzo in cui mi trovavo, in via Novaro.

E qui, onorevoli senatori, si inserisce il fatto falso e disonorante per me, se fosse avvenuto, citato come principale motivo della mia indegnità dal ministro Turco: «Il bilancio poteva essere tragico nel caso in cui - e poteva accadere - un'altra persona avesse avuto realmente bisogno», parole della signora Turco (ANSA, 10 giugno 2007, ore 18,5[SM=g27989].

Questo "caso" non poteva, senatrice Turco, assolutamente accadere, perché quell'ambulanza era a disposizione esclusivamente di quanti, me compreso, che stavo assistendo alla conferenza stampa di Bush e Prodi, si trovavano nel cortile di Palazzo Chigi. Io c'ero, con regolare permesso.

Le dichiarazioni del ministro Turco non sono state innocenti per me. Vi cito, fra le altre dello stesso tono, due e-mail ricevute lunedì 11: «Maledetto ladro, cane, l'ambulanza lasciala a chi veramente sta male». Un'altra: «Si vergogni schifoso maledetto!!!! Di cuore. Sei un imbecille, un arrogante, un ladrone della cosa pubblica per cui se vuoi salvare la Patria e il Senato (che purtroppo contiene altri a te pari) rinuncia alla tua carica e sparati un colpo in testa». Fin lì non ero disponibile in ogni caso ad arrivare.

Le TV, le radio e i quotidiani, amplificando le dichiarazioni del ministro Turco, mi hanno "impiccato", per due giorni seguenti al fatto, quale "mostro di arroganza" del potere, con l'ingrediente, come ha scritto il quotidiano spagnolo «El Mundo» (che ho qui con me), di un "senatore della destra denunciato come indegno da un Ministro donna".

Ne parlavano con toni critici quotidiani tedeschi e forse chissà di quali altri Paesi, con cui io ho avuto - ecco la mia sensibilità, se consentite - contatti ai più alti livelli politici e parlamentari, come Presidente della Commissione affari esteri della Camera dei deputati nella precedente legislatura, e con i quali continuo ad avere rapporti, quale componente della Commissione difesa, della Commissione politiche dell'Unione Europea e della delegazione parlamentare italiana presso l'Assemblea parlamentare della NATO.

Onorevoli senatori, le parole del ministro Livia Turco mi hanno addolorato, offeso, ma non meravigliato. Vedo che il lessico vetero-comunista, quando si tratta di usare la menzogna contro un avversario politico, resta duro a morire anche in una senatrice post-comunista.

Per conoscerci meglio con voi senatori della Repubblica, stiamo - se permettete per un momento - nel personale che, politicamente parlando - onorevole Presidente - è la mia storia giornalistica, culturale e civile: la storia della forte, reciproca battaglia democratica tra le mie idee di commentatore ed analista politico dei giornali e della radiotelevisione italiana e le idee comuniste, tradotte negli atti politici dei loro esponenti, da Togliatti a Longo, da Natta a Berlinguer, da decine di uomini di cultura, di giornalisti, di artisti e centinaia di migliaia di iscritti al Partito comunista italiano. Ero caporedattore per il Triveneto, negli anni '50, del quotidiano cattolico "L'Avvenire d'Italia" e ruppi con una inchiesta il velo di omertà politica e giornalistica - mi dispiace di dover parlare con questo brusìo in Aula, ma so che al Senato avviene così; quindi mi arrendo - sull'orrenda strage di Oderzo e Susegana, in Provincia di Treviso, dove furono prelevati dal collegio Brandolin 127 allievi ufficiali della Repubblica sociale italiana, di cui 80 massacrati dai partigiani comunisti, dopo che era stata firmata la resa il 28 aprile 1945, con la mediazione del parroco, monsignor Visentin.

Quei giovani non avevano sparato un solo colpo né fatto alcuna operazione di guerra o di polizia; quei giovani richiamavano quello che io scrivevo ne "L'avvenire d'Italia", cioè quello che si chiama "gli orrori della guerra civile", di cui ci si ricorda oggi di più perché Giampaolo Pansa ha scritto i libri che tutti conosciamo, ma io lo scrivevo già nel 1952.

Sempre sulla base delle menzogne o dell'alterazione dei fatti, fui il bersaglio di esponenti del Partito comunista italiano, de "l'Unità", di "Paese Sera", allora finanziato da Mosca, quando negli anni '60, corrispondente itinerante della RAI da Vienna per i Paesi del Centro e Sud Europa, appartenenti al blocco sovietico, ho documentato che i Partiti comunisti di quei Paesi controllavano con la polizia segreta ogni attività, ogni pensiero. Oggi questa è quasi un'osservazione banale di tutti i cittadini o quando ha trattato, ad esempio, nel mio lungo documentario televisivo, la donna che lavora nell'Est, dell'impiego delle donne nelle fabbriche, nelle campagne, nella polizia notturna delle strade a 30 gradi sotto zero. L'Unità ha scritto, sulla base della dichiarazione dell'onorevole Pajetta, che offendevo le conquiste del socialismo e della parità tra uomo e donna.

Durante la prima grosse coalition in Germania, dopo il '68, analizzavo l'APO - Ausserparlamentarische Opposition - extraparlamentare di Francoforte e di Berlino Ovest - so che sapete a memoria tutto questo; le richiamo me stesso, come dicono gli avvocati; quindi non avete bisogno di ascoltarmi con attenzione. Le conoscete tutte così bene tanto perché le avete spiegate così bene quando a quei tempi queste avvenivano! - come centri operativi delle violente manifestazioni contro Willy Brandt ed ancora più contro Franz Joseph Strauss, presentato come neonazista.

L'APO fu da me indicata ai teleradioascoltatori italiani, nelle mie corrispondenze per la radio e la televisione, come il brodo di coltura da cui sarebbe nato la Rote Armee Fraktion e per tutto questo "l'Unità" mi dipingeva come un fautore della guerra fredda e un sostenitore dell'imperialismo americano. La storia del Gr2 - ho piacere che sia qui presente come mio collega il senatore Sergio Zavoli, che ne potrà dare testimonianza - è troppo nota per essere però ricordata soltanto come "Radio Belva", soprannome che del resto ho assunto in positivo, come attestato con questi libri (se qualcuno per verificare quanto dirò vorrà poi andare a controllarli cercherò di fargliene anche omaggio se necessario).

In quei commenti e soprattutto nei mie editoriali mi sembra di aver indicato le vie attraverso le quali gli stessi comunisti del Partito comunista italiano avrebbero dovuto e potuto, prima della Bolognina dell'onorevole Occhetto, rinunciare ai miti del comunismo, condannandone almeno fra gli iscritti i gulag, per fare propria la condanna dell'onorevole Fassino di non più di 15 giorni fa.

Vi ho allora anche cercato di indicare in anticipo cosa facevano i partiti che volevano abbandonare i miti del comunismo applicato o di quello che voi chiamavate il socialismo reale, cioè, impegnarvi, come poi il Partito comunista ha fatto, alla costruzione dell'Unione Europea, più giusta e solidale, della collaborazione euroatlantica per la garanzia di pace e di libertà.

Ma ecco i due fatti più gravi che mi sono accaduti in RAI (richiamo l'attenzione del collega Sergio Zavoli sul punto), ad opera del e determinati dal Partito comunista italiano. L'invenzione menzognera, documentata oltre che da tre commissioni anche dalla mia vittoria in un processo per diffamazione contro Dario Fo, e che è stata presentata in un comunicato quando io sono stato estrapolato dalla direzione del Gr2 con l'espressione "comunque coinvolto", che non so quale valore giuridico possa avere, e l'accordo consociativo fra i consiglieri di amministrazione comunista e della sinistra democristiana della RAI, che determinarono la mia defenestrazione dalla direzione del Gr2.

Essa era fondata, ripeto, sull'apodittica definizione "comunque coinvolto", che, ripeto, non so francamente - non sono avvocato - che cosa voglia dire. La mia risposta fu molto chiara e anche in questo Sergio Zavoli, che allora presiedeva la RAI, me ne è testimone. Io risposi al microfono per spiegare ai miei ascoltatori, che erano andati sempre più aumentando, quali erano le ragioni per cui mi avevano defenestrato.

La ragione vera è quella, onorevoli colleghi, di essere stato, specialmente nei miei editoariali, l'autore di una linea politica che in RAI non c'era e che scoprì prima di Rossana Rossanda che nell'album di famiglia del PCI e nelle manifestazioni katanghesi di Milano contro il commissario Calabresi c'erano intellettuali del PCI e quadri operativi della sinistra, che oggi sì chiamerebbero forse antagonisti, alcuni dei quali, negli anni Settanta fecero la scelta del Partito comunista combattente, delle Brigate Rosse o di Prima Linea, con la catena di assassini di servitori dello Stato, dai Carabinieri ai poliziotti, da magistrati a giornalisti (come Walter Tobagi e Carlo Casalegno, vice direttore de "La Stampa", spesso intervistato da me negli speciali del Gr2), a dirigenti politici, in prevalenza democristiani, fino all'attacco al cuore dello Stato portato dalle Brigate Rosse con l'assassinio di Aldo Moro.

Anche qui c'è un libro, piuttosto corposo, dal titolo "Aldo Moro: quei terribili 55 giorni". Se volete, potete qui verificare cosa fece in quei giorni il Gr 2.

Onorevoli senatori, colgo in positivo, in una vicenda che mi amareggia, il campanello di allarme che suona per tutti noi come per me, mai toccato da fatti giudiziari che riguardassero corruzione, concussione, furto, tangenti, malversazioni, aggiotaggio, bancarotta, associazione mafiosa, spaccio e consumo di cocaina. Mai nessuna di queste responsabilità penali mi ha toccato.

Non commettiamo l'errore, onorevoli senatori, di liberarci dalle critiche, anche se pregiudiziali, che ci coinvolgono, dando loro la definizione assolutoria di anti politica. Il rispetto del valore insostituibile della democrazia liberale al servizio del cittadino sarà riconosciuto se anche gli uomini e le donne della politica, cioè noi, qui ed ora nelle istituzioni italiane affrontiamo realmente anche i costi e i privilegi che la politica si è assegnata.

Dobbiamo fare delle istituzioni, onorevoli senatori, e specialmente di quelle elettive, una casa di vetro, non opaco però, nella quale operi non una casta, bensì donne e uomini, e in maggioranza sono questi, dediti alla promozione e alla difesa dei valori etici, civili, religiosi, umani di ogni cittadino.

L'uscita dal Senato, onorevoli senatori, sarebbe per me la bella morte politica di un eroe per un giorno dopo l'ondata dei messaggi insultanti del tipo di quello letto all'inizio. Cessata l'esposizione mediatica del mio nome, su cui tutta la stampa ha fatto silenzio, anche quando io ripetutamente chiedevo, per dire queste cose, che venisse messo all'ordine del giorno quanto è oggi all' ordine del giorno del Senato, da parte di ogni città di Italia, soprattutto dal Veneto, mio collegio elettorale, sono arrivati tantissimi messaggi che mi invitano a restare. Nel Veneto, io ho conquistato per Alleanza Nazionale un seggio che non c'era. Sono, quindi, un numero in più per la Casa delle libertà che ha ritrovato, anche per le mie idee e per il mio impegno politico culturale, nel primo caso come giornalista e nel secondo come parlamentare, uno che avvicina il numero dei senatori dei Gruppi dell'opposizione della Casa delle Libertà a quella quota della maggioranza dell'Assemblea della maggioranza di Palazzo Madama.

Prima o poi, Romano Prodi cadrà, per opera dell'opposizione o, forse, a causa dei durissimi programmatici esistenti fra i ministri. Nel partito democratico stesso, fra i vari candidati, sarà una bella battaglia per fare di Veltroni un candidato imbattibile visto che già due altri concorrenti, Rosy Bindi e Furio Colombo, al quale formulo i migliori auguri, sono scesi in campo per mettere in rilievo, credo, anche le contraddizioni del programma torinese. L'unica cosa certa del partito democratico, e lo dico a me stesso, è la scomparsa di ogni identità cattolica.

Onorevoli senatori, il pensiero che un voto in meno del centro-destra possa concedere un giorno in più al Governo Prodi travolge ogni altra ragione che mi spingerebbe alle dimissioni. Mi spiace per il ministro Livia Turco, ma più delle sue accuse mi interessa il giudizio sereno di tanti cittadini che in questo lungo mese mi hanno inviato e-mail, che mi hanno telefonato e che ho incontrato, specialmente nel Veneto così come nelle strade. E sono tutti messaggi che mi invitano a restare.

Assumo su di me la responsabilità politica di ritirare le dimissioni presentate con lettera dell' 11 giugno. (Commenti dai banchi della maggioranza).

Lo faccio per rispetto vostro, perché l'altro giorno ho ricevuto una notizia di agenzia...


PRESIDENTE. Senatore Selva, la invito a concludere. Siamo a 25 minuti.


SELVA (AN). Mi lasci concludere, Presidente, l'altro giorno si è discusso per quattro ore, non siamo troppo formalisti. (Proteste dai banchi della maggioranza).


VOCI DAI BANCHI DELLA MAGGIORANZA. Buffone!


SELVA (AN). Ho ricevuto, dicevo, una notizia di agenzia che dice: «Il neo procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani ha concluso l'inchiesta che vede indagato per accuse di truffa e interruzione di pubblico servizio il senatore di AN Gustavo Selva». Io credo che sia mio dovere fare questo, anche per rispetto nei vostri confronti, perché se un'assoluzione dovesse venire da voi potrebbe sembrare la casta che si autodifende. Non voglio darvi questa responsabilità. Pertanto io credo che resterò qui perché l'Italia ha bisogno ancora di qualcosa. (Ilarità dai banchi della maggioranza) Per esempio di un Governo che governi, lasciatemelo dire, poi non parlerò più, se volete, con un bipolarismo che non sia né solo «follinianamente» mite, né formato da pure coalizioni per vincere le elezioni.


PRESIDENTE. Senatore Selva, deve concludere. Si è avvicinato alla mezz'ora. Le do ancora 30 secondi e poi le tolgo la parola.


SELVA (AN). Mi tolga pure la parola, signor Presidente, così rende un bel servizio alla democrazia! (Vivaci e prolungate proteste dai banchi della maggioranza).

L'alternanza garantita da programmi politici omogenei è il sale della democrazia, prima che le caste di partito sarà bene che nel referendum ascoltiamo che cosa pensano i cittadini della legge elettorale. In Europa, in Francia si è costruito un bipolarismo che funziona. Forse anche per noi è necessario che ci siano, insieme con la nuova legge, delle riforme istituzionali che rendano la quinta Repubblica anche governabile e modernizzata.


VOCI DAI BANCHI DELLA MAGGIORANZA. Basta! Presidente, deve togliergli la parola.


PRESIDENTE. Senatore Selva, non voglio toglierle la parola; quindi, non mi costringa a farlo.


SELVA (AN). Io mi batterò qui per i valori della sicurezza interna e internazionale dei popoli che aspirano alla libertà, alla giustizia, alla pace, per la difesa di quei valori etici di ogni persona e della famiglia, come definita dall'articolo 29 della nostra Costituzione, che io proporrò di perfezionare aggiungendo dopo la parola «matrimonio», le parole «di una donna con un uomo» che gli danno il carattere di una società naturale. (Applausi dei Gruppi AN, FI e UDC).


PRESIDENTE. Essendo nelle sue possibilità, il senatore Selva ha ritirato le dimissioni. (Proteste dai banchi della maggioranza).

Colleghi, è nella disponibilità dell'eletto la possibilità di ritirare, fino al momento del voto, le proprie dimissioni che piaccia o non piaccia, la Costituzione dice così.



(...)



GAGLIARDI (RC-SE). Domando di parlare.


PRESIDENTE. Ne ha facoltà.


GAGLIARDI (RC-SE). Signor Presidente, avevo chiesto la parola, perché pensavo che oggi si discutesse delle dismissioni del senatore Gustavo Selva e ritenevo molto opportuno che in quest'Aula si discutesse del significato politico di tale episodio.

Adesso, dopo un intervento di circa 40 minuti nel quale il suddetto senatore Selva ha fatto la propria autobiografia, nonché una requisitoria contro la sinistra nella storia italiana, nonché un attacco continuato ad una Ministra del Governo in carica, con un coup de théâtre finale (del resto molto annunciato e previsto) egli comunica il ritiro delle proprie dimissioni. Naturalmente, non discuto il suo diritto, né l'opportunità che il gesto offre ai colleghi del centro-destra di mantenere la certezza di una unità del proprio schieramento.

Vorrei tuttavia utilizzare l'occasione per esprimere un senso di profondo disagio. Non so se definire patetico o indegno lo spettacolo cui abbiamo assistito poco fa in quest'Aula. Non sono facile allo scandalo moralistico, ma ritengo che il senatore Selva, protagonista di un episodio inqualificabile di uso per scopi privati e frivoli e personali di un'autoambulanza, di dichiarazioni farneticanti sui giornali e di rivendicazione esplicita del proprio gesto davanti ad una televisione pubblica, ora aggiunge uno scherno che in qualche modo offende la dignità che questa Assemblea dovrebbe avere a cuore più di ogni altra cosa: egli offende la dignità e la serietà della politica e delle proprie responsabilità.

Signor Presidente, viviamo in un'epoca in cui tutta la politica vive una fase difficile. C'è una dura campagna critica contro l'intera classe politica, contro i privilegi, i costi e, appunto, la bruttezza di ciò che noi rappresentiamo. Credo che sia un problema molto serio per tutti noi. Credo che non riguardi, quindi, semplicemente i singoli: riguarda tutti i comportamenti dei singoli colleghi, di qualunque schieramento facciano parte. Riguarda tutti noi. Perché c'è un punto fondamentale di dignità, di serietà e di responsabilità che riguarda la qualità della politica e la responsabilità che noi siamo tenuti a considerare, al di là dello schieramento di appartenenza. Provo profonda vergogna per quanto accaduto oggi in quest'Aula. (Applausi dai Gruppi RC-SE, Ulivo e IU-Verdi-Com).



[Modificato da INES TABUSSO 17/07/2007 22.37]

INES TABUSSO